Esempi di ‘scriver cantando’. Penna tra Verdi e Cilea
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Firenze, 23 dicembre 2012 – Recita con arguzia una poesia del tardo Palazzeschi di Via delle cento stelle intitolata Il melodramma: «Non v’è dubbio che lo spirito italiano / del nostro ultimo tempo / si sia temprato al fuoco del melodramma. / Il melodramma è l’esponente / di questa nostra ormai invecchiata / ma ancora resistente civiltà. / Accettata tale premessa / resta solo da domandarci / se l’italiano / melodrammatico per natura / abbia creato il melodramma / o il melodramma abbia creato lui / melodrammatico di conseguenza».
Così il popolare melodramma, con la sua parola, la sua musica e il suo gesto compattati in un universo figurato memorabile, eccessivo e profondo, di modalità comportamentistiche emblematiche, valori ed affetti, è giocoforza che culturalmente (storiograficamente) collabori, si insinui e si confonda, partecipando dell’immaginazione, rinascendo sub specie artistica in altre forme, contribuendo, per progetto o per involontario parlare di linguaggi che s'intersecano, al completamento o alla sostituzione della vita cui chi scrive o ad ogni modo pratica l’arte, in cerca di libertà, obbedisce.
Chi direbbe, ad esempio, nel non troppo culturalisticamente sospettabile Sandro Penna (l’autore tuttavia, su esibita suggestione verdiana da Traviata, di Croce e delizia, componimento singolo e raccolta) di poter rinvenire un’esemplificazione probatoria di questo tipo, leggendo una poesia di Stranezze? Dice il testo:
Voleva raccontare una sua storia
il pastorello, ma il sonno lo prese.
I rauchi treni implorano alle stelle
e riaccendono i volti nel mio cuore.
Il lessico, la semantica, la metrica, la sintassi del componimento si frangono e subito si ricompogono: un’aria per tenore di grazia alla Tagliavini, il Lamento di Federico dell’Arlesiana di Francesco Cilea (1897, libretto di Leopoldo Monaco dal dramma di Alphonse Daudet), traspare:
È la solita storia del pastore
Il povero ragazzo voleva raccontarla, e s’addormì.
E ancora, contemplando l’Innocente e preparato dal vespertino coro di «Voci lontane» che per suo conto, anche sentimentalmente ambientando, dice «Quando la luce muor, / mesto diviene il cor!»:
C’è nel sonno l’oblio. Come l’invidio!
Anch’io vorrei dormir così,
nel sonno almen l’oblio trovar!
La pace sol cercando io vo’,
vorrei poter tutto scordar.
Pur ogni sforzo è vano… Davanti
ho sempre di lei il dolce sembiante!.
Secondo esempio in Penna, ancora nel Penna di Stranezze che un’altra volta intitola, in omaggio al tema unico e fagocitante dell’amore, Croce e delizia. Ecco, per via di contaminazione e di concentrazione, nel breve giro di una quartina densissima, memorie verdiane nientemeno che da Traviata, Trovatore e – in quel «Riccardo» che doppia perfettamente, proprio in posizione finale, il canto appassionato e invocante di Amelia all'ultimo atto – Ballo in maschera:
Croce e delizia
Ahi, troppo forte ardo
entro sì oscure nebbie.
E inutili i poetici
voli per dir: Riccardo.
Marco Marchi
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