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‘Ad Arimane’. Leopardi e il dio del male

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Giacomo Leopardi

Firenze, 10 marzo 2013

Ad Arimane

Re delle cose, autor del mondo, arcana
malvagità, sommo potere e somma
intelligenza, eterno
dator de' mali e reggitor del moto,

io non so se questo ti faccia felice, ma mira e godi ecc. contemplando eternam. ec.

produzione e distruzione ec. per uccider partorisce ec. sistema del mondo, tutto patiem. Natura è come un bambino che disfa subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e di disperazioni: amore.

I selvaggi e le tribù primitive, sotto diverse forme, non riconoscono che te. Ma i popoli civili ec. te con diversi nomi il volgo appella Fato, natura e Dio. Ma tu sei Arimane, tu quello che ec.

E il mondo civile ti invoca.
Taccio le tempeste, le pesti ec. tuoi doni, che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci.

E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l'opra tua rimane immutabile, perché p. natura dell'uomo sempre regneranno L'ardimento e l'inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec.

Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai.
Invidia dagli antichi attribuita agli dei verso gli uomini.
Animali destinati in cibo. Serpente Boa. Nume pietoso ec.

Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? l'amore?… per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro passato ec.?

Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie ec. Tua lode sarà il pianto, testimonio del nostro patire. Pianto da me per certo Tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà ec.

Ma io non mi rassegnerò ec.

Se mai grazia fu chiesta ad Arimane ec. concedimi ch'io non passi il 7° lustro. Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predicatore ec. l'apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che è creduto il massimo de' mali, la morte (non ti chiedo ricchezze ec. non amore, sola causa degna di vivere ec.).  Non posso, non posso più della vita.

Giacomo Leopardi

(1833)

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