Mi sono assentata qualche mese da questo blog, e mi accorgo che tutto intorno non è cambiato molto. Così come la mia pagina è rimasta statica, immobile all'ultimo articolo scritto, anche il mondo, fuori, quello che ho sempre tentato di descrivere a parole, nei miei limiti e con sfumature non sempre condivisibili, è rimasto lì, immobile e immutato.
Il mondo esterno ha continuato a girare, l'Italia, tra alti e bassi, ha continuato ad andare avanti, affannosamente e con sacrifici, e gli italiani, con la dignità che contraddistingue il popolo, stanno continuando a camminare nonostante tutto a testa alta. Il punto è che tutti gli avvenimenti sono accaduti e che stanno continuando a susseguirsi, sono sempre speculari a quelli passati. Continuano a parlare di un Italia che non piace, spettro di una nazione che spaventa il suo stesso futuro, i giovani italiani.
Da giovane italiana parlerò solo ed esclusivamente per me, eppure, a giudicare dal malessere del popolo, penso si tratti di un pensiero condiviso da molti miei coetanei e non solo.
Ho smesso di scrivere su queste pagine più o meno quando fuori, il mondo, da una parte all'altra dell'emisfero parlava del disastro dell'Isola del Giglio. Una nave da crociera con a bordo quattro mila passeggeri affondava di fronte alle coste toscane a causa di una manovra azzardata del suo capitano, Francesco Schettino, salito alla ribalta come il peggior esempio di italiano, lui che in quelle drammatiche circostanze ha abbandonato, volontariamente o meno, la nave mettendosi in salvo, lasciando in balia del mare equipaggio e passeggeri.
A giudicare secondo la legge italiana il comportante del capitano Schettino, sarà un processo in tribunale, ma di lui, da quella sciagurata notte, gli italiani e il resto del mondo si sono già fatti un'idea propria, che prescinde dall'essere giudicato in aula colpevole o innocente.
Ma il capitano Schettino è solo uno dei tanti simboli negativi che si susseguono quotidianamente in un'Italia che non va: poco coraggiosa, inerme di fronte agli eventi, poco rispettosa verso il prossimo, e scevra di valori.
A distanza di un mese e mezzo dalla vicenda dell'isola del Giglio, cambia il nome del protagonista della vicenda, e i fatti narrati, ma il concetto resta quello: un' Italia che non mi piace.
La Quinta sezione della Suprema Corte, accogliendo la richiesta della Procura generale, ha deciso l'annullamento con rinvio della condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno alla mafia per il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri. Sembra quindi molto plausibile, se non scontato, che ci vorranno sicuramente molti di più dei canonici trenta giorni fissati in Cassazione per il deposito delle sentenze, e quindi per conoscere le motivazioni. Una prassi quasi scontata quando si tratta di motivazioni complesse inerenti casi delicati per la caratura dell'imputato o per le questioni di diritto implicate. Leggendo tra le righe, forse non solo i più critici lettore, potrebbero pensare "la prescrizione si avvicina".
La mia disapprovazione, in questo momento, non vuole riferirsi ai contenuti di questa notizia, cioè alla condivisione o meno di quanto accaduto, ma vuole mettere in luce un modus operandi che non funziona.
Un altro processo che rischia di cadere in prescrizione. Tutto da rifare. Anni di lavoro e di spese affrontate da parte dello Stato che rischiano di vanificarsi. Un imputato che, in attesa di un nuovo processo, resta in una sorta di limbo giuridico. Una situazione transitoria incerta che non farebbe piacere a nessuna persona sicura della sua innocenza, soprattutto in casi come questo, dove l'accusa, concorso esterno alla mafia, suona come una coltellata alla moralità di essere umano. Ma presumibilmente si tratta di aspetto non valutato dall'imputato, vista la soddisfazione espressa a seguito della sentenza.
Non si tratta di un'assoluzione, ma questa decisione di annullamento assomiglia tanto ad una presa in giro per tutti quei cittadini e quei rappresentanti dello Stato che credono ancora di vivere in una Repubblica democratica basata sul lavoro e dove la legge è uguale per tutti.
Un'altro spaccato di Italia che non mi piace, immobile e immutata, prende i nomi di Andrea e Senad, i due ragazzi di origine bosniaca nati e cresciuti in Italia e rinchiusi da un mese nel Centro di identificazione ed espulsione di Modena.
La vita dei due giovani di 23 e 24 anni, figli di immigrati bosniaci fino a qualche tempo fa regolarmente residenti in Italia, è cambiata da quando i genitori, venditori ambulanti, hanno perso il lavoro e conseguentemente anche il permesso di soggiorno. Da quel momento per il nostro ordinamento i due ragazzi non avevano più un chiaro status giuridico. Per questo il 10 febbraio scorso, dopo un controllo, sono stati portati nel Cie in attesa d’identificazione ed espulsione, dove vivono tutt'ora.
Un caso che ha dell'inverosimile, una situazione disumana, che mi lascia attonita con in testa tanti perchè.
Ritorna l'interrogativo, dalla risposta a parer mio scontata della "ius sanguinis" o "ius soli". Tempo fa, sempre da queste pagine avevo lungamente disquisito su questo tema, ammettendo candidamente la mia opinione a riguardo. Quando con molta umiltà e senza pretese di essere compresa e condivisa da tutti ho spiegato riga dopo riga di credere nella bontà del concetto di ius soli, da applicare con le dovute attenzioni del caso, sono stata tacciata da alcuni lettori, di essere un anti italiana, priva di morale o di orgoglio verso la mia nazione.
Con molto rispetto oggi ripenso a quei commenti e con amarezza sorrido. Io sono ancora più convinta di quello che ho scritto mesi fa e si tratta di una sicurezza che mi permette di specchiarmi la mattina riuscendomi a guardare negli occhi senza vergogna. E sono sempre più convinta, leggendo del caso di Andrea e Senad, che l'accoglienza sia un sinonimo di rispetto, uno strumento di accrescimento personale e culturale, nonché una dimostrazione di civiltà nei fatti, non tramite trattati e documenti di facciata.
Mesi fa avevo lasciato queste pagine che descrivevano un Italia che non mi piace, una nazione che non rispecchiava le mie aspettative e i miei valori, un paese, a parer mio, non a misura di giovane, che solo in rari casi riusciva a dimostrare il dovuto rispetto per tutti quei cittadini che ne rappresentano il motore.
Oggi, riempendo questo blog con fatti di attualità, mi son trovata nuovamente costretta a descrivere un Italia che continua purtroppo a non piacermi, e forse anche a non rispettarmi.
Lo ammetto con tristezza, ma non parlo con rassegnazione.
Scrivendo queste parole sono oggi più che mai sicura di voler cambiare le cose. Se la nave Italia affonda, io non voglio essere, nemmeno per sbaglio, un capitano Schettino. Non ho i gradi per comandare l'imbarcazione, sono un semplice mozzo, ma con tutte le forze resterò a bordo.