Maroni story, dal Manifesto ai barbari sognanti

Cronaca

10 aprile 2012
 “Non so perché, nessuno me lo ha chiesto, sono stupefatto, mi viene da vomitare: qualcuno vuole cacciarmi dalla Lega ma io non mollo”. E' il 13 gennaio, all'apice dello scontro con il Cerchio magico di fede bossiana, Roberto Maroni perde la pazienza. E su Facebook (da un po' di tempo l'ex ministro è diventato appassionato inernauta) sfoga la sua rabbia contro l'Umberto che sta cercando di vietargli la piazza. Sullo sfondo dello scontro tra i due 'padri' del Carroccio, il caso Cosentino, gli investimenti finanziari in Tanzania e, guarda caso, la gestione dei fondi della Lega.

Quel braccio di ferro sui comizi, come molte altre partite recenti, alla fine l'ha vinto lui, Bobo, tempra da leader in panchina da una vita per succedere al grande capo. Ma, a giudicare da quello che potrebbe succedere a Bergamo o comunque prossimamente, forse l'eterno numero due ha fatto bene a non gettare la spugna. Quel che resta della Lega, nel bene e nel male, ora sarà soprattutto affar suo. E, dopo aver fatto per tre volte il ministro ed essersi costruito, giorno dopo giorno, la fama di 'volto istituzionale' delle camicie verdi, il posto al comando del Carroccio sarebbe proprio la ciliegina su una carriera politica più che ventennale. Carriera, la sua, che parte da molto lontano.

C'è una foto che lo ritrae da giovane mentre legge l'Unità. Anche se, per la verità, da ragazzo la lettura preferita di Maroni era – udite, udite - il Manifesto. Prima dell'incontro (nel '79) con il medico mancato Umberto, infatti, il futuro ministro anti-clandestini votata Democrazia proletaria. La folgorazione della Lega lombarda porta però il giovane varesino (classe 1955), avvocato, sposato con tre figli, ad aprire una nuova direzione politica. E via, di notte, ad attaccare i primi manifesti, a tappezzare i cavalcavia delle autostrade con slogan anti-centralisti. Ore ed ore nei tinelli di appartamenti ancora modesti a costruire con l'amico Bossi le strategie del movimento del popolo del Nord.

La strada di Bobo si completa di tasselli sempre più importanti: da assessore a Varese al primo, vero, muro sfondato: il Viminale. E' il 1994 e, per quei tempi, un leghista ministro dell'Interno – figura sempre toccata alla Dc nel dopoguerra - rappresenta una novità assoluta. Altro flash: il fotografo Giorgio Lotti lo immortala nel suo studio, il primo giorno, con i piedi sulla scrivania. Immagine che farà venire i brividi a Francesco Cossiga.

Già allora, comunque, il giovane Maroni dimostra di non aver alcun timore di mettersi di traverso rispetto alla linea del capo. Quando la Lega, alla fine del 1994, abbandona Berlusconi, lui si oppone fino ad arrivare a un passo dalla rottura (al congresso di partito del '95 è accolto da fischi e urla di dimissioni). Allora come poi. Nel Carroccio vive lo stesso momento di isolamento che vivrà, ancora una volta nel 1996, sempre per la decisione da parte di Bossi di rompere l'alleanza con il Cavaliere. Per scherzi del destino, invece, recentemente è stato proprio Maroni a mostrare il proprio malcontento rispetto alle ultime fasi dell'ultimo governo Berlusconi. Le idee si cambiano, certo. Memorabile resta il giudizio postumo sulla sinistra da parte del leghista più di sinistra: “La sinistra che conoscevo io, nel '79, aveva un'idealità, sapeva dare speranza, era attraente e soprattutto coinvolgente... Ora è troppo triste e cupa”.

Lui, invece, la tristezza la scaccia a modo suo. Con la musica che, assieme alla Lega, è l'altra grande passione di Bobo (al terzo posto si classifica il Milan). Quando sale sul palco non c'è ruolo istituzionale che tenga: eccolo con il giubbotto di jeans e gli occhiali da sole sedersi accanto all'organo Hammond e scatenarsi con la sua band (i Distretto 51) al ritmo di soul e rhythm'n blues.

Uno degli aspetti che più colpisce nel curriculum di Maroni è la capacità di essere il più bon ton tra i militanti ricoperti di improbabili vessilli vichinghi senza sfigurare agli occhi dei 'barbari sognanti'. Allo stesso tempo, da più volte ministro, il leghista Bobo ha collezionato giudizi positivi (o comunque non negativi) anche da parte delle figure più lontane dal Carroccio. Dopo le elezioni vinte nel 2001, a Maroni sembrava dovesse toccare il ministero della Giustizia, ma finì al Welfare, ad affrontare le riforme più delicate: dalle pensioni al Tfr. Fu sua la firma alla celeberrima Legge 30 che prese il nome di Marco Biagi (consulente di Maroni assassinato dalle Nuove Br nel 2002). Da allora il dirigente leghista ha dovuto sempre muoversi con la scorta.

Tra i provvedimenti in cui si è distinto, anche nell'ultimo mandato ministeriale (al Viminale), gli interventi sulle pensioni minime, la sanatoria sugli indebiti Inps, la guerra all'immigrazione clandestina, la tessera del tifoso per contrastare la violenza negli stadi.

Per virtù personale o tattica politica, Maroni ha spesso dimostrato di saper cambiare idea. Un esempio? Basta ripescare quanto l'ex ministro ha detto poco più di un mese fa parlando agli studenti dell'università dell'Insubria. Sulla xenofobia, sono le sue esatte parole, a volte la Lega Nord “ci ha marciato” con l'obiettivo di “raccogliere consensi”. Più sincero di così? Quando vuole il vice papà del Carroccio sa essere molto determinato. Come quando pretese e ottenne  dalla trasmissione di Fabio Fazio la replica televisiva alle accuse di 'ndrangheta scagliate da Saviano contro il Carroccio.

Il resto, gli alti e bassi all'interno del suo partito (dalla fatwa sui comizi alle riappacificazioni con l'amico Bossi), le contraddizioni (parlò bene del Trota prima della sua candidatura a consigliere regionale per poi, ora, dichiarare in un'intervista: “Su Renzo Bossi io l'avevo detto...” e anche il sostegno al presidente del Consiglio regionale della Lombardia Davide Boni, indagato, per poi, ora, gridare ai quattro venti 'pulizia, pulizia, pulizia!'), gli schieramenti in vista delle prossime elezioni (sostiene il sindaco ribelle di Verona, Flavio Tosi), è cronaca recente. Quella che, con ogni probabilità, ora lo incoronerà nuovo condottiero della sua Lega Nord.

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