Yoani, la voce di Cuba che parla alla gente

Cronaca

4 marzo 2012
La voce  del dissenso a Cuba è rappresentata da una donna che è diventata assai famosa anche in Italia grazie a un amico che traduce il suo blog e che ne ha curato alcune traduzioni editoriali nel nostro Paese. Lei si chiama Yoani Sanchez. Racconta la vita di ogni giorno nella Isla Grande e soprattutto l'impedimento che il regime continua ad attuare, nonostante alcune timide aperture soprattutto da un punto di vista commerciale, verso l'espressione libera delle opinioni e di conseguenza  con la limitazione della democrazia che sottintende la trascuratezza dei diritti umani. Il ruolo di Yoani nel comunicare questi disagi è molto attivo e proprio per questo i Castro, pur non incarcerandola, ne limitano i movimenti e quindi ne vietano ogni volta che lo richiede l'espatrio. Recentemente le è stato impedito di recarsi in Brasile, a Salvador de Bahia, dov'era invitata a una conferenza sui diritti umani nonostante Brasile e Cuba siano comunque Paesi amici, anche se ora, con Dilma Rousseff a Brasilia, i rapporti siano un pochino meno stretti (ma la "presidenta" non è riuscita a fare ragionare i Castro su questi termini nella sua ultima visita all'Avana e quindi in patria ha deluso un po' di persone). Il traduttore di Yoani è Gordiano Lupi, scrittore ed editore (con "Il Foglio letterario") che vive e opera a Piombino e che conosce Cuba come le sue tasche. Innamorato dell'isola e di una splendida cubana, si sente però tradito dalla evoluzione del potere castrista (su Castro ha scritto una biografia) e segue con passione i dissidenti.

E così, Gordiano è stato fatto partecipe di un progetto editoriale presentato nei giorni scorsi proprio a casa di Yoani, una rivista clandestina che si chiama "Voces" destinata ai dissidenti e curata anche da Orlando Lardo Pazo. Fra i "blogueros alternativos", come si definiscono i redattori, che hanno scritto in questo numero c'è anche Lupi (unico autore straniero), che ha tracciato una dotta biografia di Guillermo Cabrera Infante, scrittore (soprattutto "Tre tristi tigri") e cinesta cubano che dopo essere stato un entusiasta della rivoluzione castrista  è diventato prima critico poi oppositore e ha dovuto vivere in esilio la parte finale della sua vita fino alla morte che lo ha colto a Londra il 21 febbraio 2005. Io e Lupi qualche tempo fa partecipammo a Pesaro come oratori alla presentazione di una mostra fotografica di Federico Tamburini che aveva rappresentato le zone più povere e devastate dell'Avana, quelle dove non arrivano i turisti e dove spesso le donne devono vivere prostituendosi e le case sono baracche indegne. Quelle dove senza l'impegno della cooperazione internazionale e le Ong non ci sarebbe vita. Fummo contestati da un gruppo di castristi irriducibili, che non riconoscevano al di là dell'ideologia il problema fondamentale dell'Isla Grande: proprio quello di non sapere uscire da una sorta di isolamento nel quale sono costretti a  stare gli animi più liberi. Apertura non deve per forza voler dire rivoluzione al contrario, ma spesso è necessaria soprattutto da un punto di vista commerciale. Pecunia non olet, neppure i dollari devono puzzare per Castro. Ed è davvero l'ora di porre fine a questo estremismo da una parte e all'embargo dall'altra. Se si vuole davvero salvare Cuba dalla globalizzazione che strangola.
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