Brasile, non uno stereotipo

Cronaca

13 maggio 2012
E' molto bello trovarsi ogni tanto a chiacchierare fra amici con i quali si condivide un amore speciale: il Brasile. A capo tavola Max De Tomassi, che è la voce radiofonica del Paese sudamericano col suo "Brasil" di Radiouno, accanto altri gioiosi innamorati di un luogo che dà molto quando lo si conosce. E concede anche nuovi amici, i ragazzi di "Encontro", per esempio. Il tema era la musica, all'inizio, ma poi le considerazioni che sono venute fuori hanno principalmente toccato il lato sociale con una considerazione molto forte sulla identità culturale brasiliana e un suo parallelismo con quella italiana: l'Italia vive della propria storia e non sa andare oltre ad essa; il Brasile vive della propria ispirazione e questa travalica qualsiasi confine e si mangia quei santuari della veterocultura che non sanno adeguarsi al presente. Il Brasile, paese senza archetipi, senza stereotipi, con quaranta razze che si sono mischiate in un meticciato che Jorge Amado considerava a lungo andare un punto di forza (e i fatti gli hanno dato ragione anche se con qualche decennio di ritardo) e con un crescendo economico da fare rabbrividire il Vecchio, in ogni senso, Continente. Se il bengodi brasiliano durerà anche oltre l'anno olimpico 2016 non lo sappiamo, non siamo profeti, ma di certo ora come ora quello che si sta facendo laggiù ha un'aurea ben più consolidata e appagante di quello che (non) si sta facendo qui.

Si parlava di storia: ci adagiamo su di essa, i brasiliani non ce l'hanno questa storia. Hanno una storia limitata nei secoli, spesso fatta di domini altrui che strozzavano il popolo. Non hanno i nostri monumenti, ma hanno, da un secolo, la nostra iniziativa, quella di tanti italiani, soprattutto veneti, marchigiani, campani, che sono dovuti scappare dalle loro terre e sono arrivati laggiù e hanno costruito imprese e imperi facendo crescere quel popolo. Adesso il calcolo parla di 20 milioni di discendenti italiani in Brasile su 200 milioni di abitanti, una percentuale molto elevata.  Il Brasile ha superato dittature militari pesanti, soprattutto sulle idee, la sua democrazia è giovane, data 1985 se la vogliamo prendere dal lato di una elezione non militare ai vertici dello Stato federale (c'erano stati anche prima i presidente democratici, ovvio, ma il concetto stesso di democrazia era stato cancellato dallo Estado Novo), lo ha fatto cavalcando le proprie idee, inventando, innovando. Facciamo un esempio: se i grandi architetti prima erano italiani o comunque europei, adesso la scuola brasiliana è un punto di riferimento.  Niemeyer e Burle-Marx, l'uno per gli edifici l'altro per l'arredo urbano, hanno rappresentato la vera novità, e il primo, ancora in vita e  ultracentenario, continua a creare sogni; e gli urbanisti hanno fatto di Curitiba (due milioni di abitanti, molti veneti e trentini, con un prefetto che si chiama Luciano Ducci) una città che viene visitata come esempio del buon vivere.

Ho lasciato da parte in questo rapido excursus la musica, perché il divario sarebbe ancora maggiore. Ma basta comunque poco per ritenere che il Brasile meriti molta attenzione, il suo cammino alla guida dei Paesi emergenti, il fanoso sodalizio Brics, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica,  è possente, lo sviluppo marcia a grandi passi verso Giornata mondiale della giovenù, Mondiali di calcio, Olimpiadi. La fame zero è quasi al traguardo, gli ultimi colpi di coda dei narcotrafficanti sembrano esalati da gente in disarmo. Manca da risolvere, fra i grandi problemi, quello dell'Amazzonia: l'ecologismo dei governi di sinistra non è stato sempre in primo piano.  Speriamo che anche questo diventi per Dilma Rousseff un cammino adeguato. E poi non resta che sperare, per chi ama il Brasile, che il Pil continui a crescere. In queste condizioni, siamo quasi alla certezza.
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