Un pianto discreto, il ricordo di una stagione per lei molto dura. Dilma Rousseff fu incarcerata e torturata durante gli anni più duri della dittatura militare che ha soggiogato il Brasile fra il 1964 e il 1985. Ora è la "presidenta" e ha partecipato con grande slancio emotivo alla presentazione della Commisisone Verità, un organismo di sette membri che indagheranno sui crimini che sono stati commessi in quegli anni. L'indagine non avrà effetti giuridici, ma storici e sociali, e punterà più che altro al riconoscimento delle responsabilità, alla loro analisi e a un'opera più completa possibile di riappacificazione nazionale. Per questo si cercherà di capire anche, attraverso l'apertura dell'archivio dei servizi segreti, che cosa avvenne anche negli anni successivi, almeno fino al 1988, quando potrebbero essere stati commessi gli ultimi reati, e quindi i crimini più disgustosi, visto che già era tornata la democrazia. "Non ci spingono il revanscismo, l'odio o il desiderio di riscrivere la storia, ma le nuove generazioni meritano di conoscere la verità", ha detto Dilma. Lei stessa, come vittima delle violazioni dei diritti umani che i militari compirono, sarà risarcita con l'equivalente di 8mila euro. Erano gli anni '70 quando subì le offese maggiori. Quegli 8mila euro saranno devoluti al movimento di difesa dei diritti umani "Tortura nunca mais", mai più la tortura. Con lei sono state risarcite altre 120 vittime.
Alla cerimonia hanno partecipato tre ex presidenti, Lula, Fernando Henrique Cardoso e José Sarney, e i capi delle Forze Armate. Molti ex militari avevano protestato di fronte al ventilato intervento sull'amnisitia che fu introdotta addirittura nel 1979, prima che finisse la dittatura. Erano decisamente contrari, pronti a sollevarsi, che fosse rimessa in discussione la loro condotta come avrebbe voluto per esempio Lula nel 2009. Una Commissione sui morti e i dispersi era stata invece già istituita da Cardoso nel 1995; da essa uscì una lista di nomi di vittime e le famiglie ricevettero 2,4 miliardi di reais del tempo. Ora si spera che la Commissione Verità riesca a rintracciare le sepolture anonime di altri combattenti per la libertà in modo che, come ha detto la Rousseff, "le famiglie possano finalmente recuperare i loro resti". La riappacificazione definitiva a 27 anni dalla fine della dittatura non è però una pratica così facile, e già spuntano le polemiche. Per i militari e i gruppi di destra, coloro che si opponevano alla giunta e all'Estado Novo non erano borghesi che volevano la democrazia, ma "pericolosi comunisti che aspiravano a imporre nel Paese una dittatura come quella cubana". Una dichiarazione forte, che Paulo Roberto de Almeida, sociologo di sinistra, alimenta con le sue considerazioni: "E' vero, noi pretendevamo di instaurare un regime rivoluzionario che, inevitabilmente, sarebbe cominciato con la fucilazione dei borghesi e dei latifondisti". La contrapposizione decisa fra le due culture deve per forza arrivare da un processo comune che non vanifichi l'evoluzione economica e sociale del Paese. "La Commissione Verità è la cosa migliore che si potesse fare", dice Simone Rodrigues Pinto, ricercatrice dell'università di Brasilia, ed è questo che pensa Dilma, disposta in nome dell'unità nazionale a mettere da parte la questione amnistia, che quindi rimane, e anche l'investigazione esclusiva contro i militari: la Commissione analizzerà anche il comportamento degli oppositori e lo censurerà in caso di manifestazioni violente. Un futuro sereno merita più di un sacrificio.