Notizie di poesia

Non avrai niente di me. ‘Messaggeri e messaggi’ di Paolo Maccari

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Paolo Maccari

Firenze, 21 luglio 2013 – Qualche essenziale notizia bio-bibliografica per presentare Paolo Maccari, poeta di ambito fiorentino nato a Colle Val d’Elsa (Siena) nel 1975. Il suo esordio risale al 2000 con la raccolta Ospiti, edita da Manni e prefata da Luigi Baldacci (Premio Bagutta Opera Prima). Sei anni dopo è uscita la plaquette Mondanità (L’Obliquo), poi rifusa nel volume Fuoco amico (Passigli, 2009).

Suoi testi poetici sono nel frattempo apparsi in riviste ed importanti antologie, tra cui Parola Plurale, del 2005, e quella della nuova poesia italiana curata da nel 2007 Philippe Di Meo per la "Nouvelle Revue Francaise"; suoi testi, ancora,  sono stati tradotti in francese, inglese e tedesco. Come critico letterario è autore di una monografia su Bartolo Cattafi, Spalle al muro (Sef, 2003) e di un volume su Dino Campana, Il poeta sotto esame (Passigli, 2012). Dirige con Valerio Nardoni la sezione poesia Valigie rosse del Premio Piero Ciampi.

Marco Marchi

da Messaggeri e messaggi

Verso l'alto

Altre salite strappano le unghie
qui il granito si concede
alle ascese in sporgenze deliziose
e i polpastrelli trovano
morbidi foderi dove frugare
e riposare mentre
i muscoli dorsali
senza spreco di gemiti si tendono.

Non ti tengono funi né ti imbraca
vertigine. Timore dell'abisso
è una favola mormorata appena
per sgorgarne un sorriso smemorato.

Materne cime inarrivabili
si prestano a scenografare
quanto narrato
da un affettuoso fuori campo
che non ti stanchi di ascoltare e che
descrive.

Dolcissimo e snervante realismo
copia fedele e irresistibile
di quei sogni che non capisci
e per cui provi con sconcerto
gratitudine mentre la salita
continua e agogna
al culmine una curva

una pista impreveduta
argentea come una ragnatela
senza scampo, che ti culla
mentre continui a tesserla
dimenticando.

Serenata

Se notte ancora e quanto me
con tenerezza squinternata trepiti
con l'arrendevolezza anonima
di quei semi minimi che se il vento spinge
non si nascondono della terra avarizia e del vento
forza, delizia spaventosa, e s'alzano
e pare sconveniente non volare
con le ali spaginate
pellicole fruscianti e stille d'aria.

Ecco, se ancora
non è che notte e noi passanti
ognuno su un marciapiede e nel mezzo asfalto
che sembra una danza violenta
di lucentezza in riposo
e le grondaie e il passo
dell'esistenza e i platani
e l'umanità del respiro e
la luna sono biechi banditi
con l'impermeabile rigonfio di languido rimpianto.

Se ancora hai il sospetto che no
non sia la notte imperatrice a scandire
la nota fragile che ti scivola tra sterno e labbra
ma un'ombra successiva e precedente,
una stilettata di buio fecondo
come una nascita finita dal sangue in musica.

Sospettosa e rapita,
mentre si agglutina il cielo
in un ripudio d'ogni arabesco incantatore
e nerissimo nero ingoia la notte disarticolandola,
allora dai indietro
al popolo sudato i suoi pegni,
comprensioni e giochi di destrezza e dai indietro
le reticenze che non paiono, le arditezze che non sono
ogni suono preso in appalto da una memoria
che non dovrà più servirti e guardami.

Guardami, studiami ancora ho ancora
la pelle accesa dalla promessa
che suggerivano le tue gioiose escoriazioni,
il tuo passaggio timoroso sbaragliava l'aria
e nella tua mente il presidio della luce
battagliava impavido contro i palazzi
sbadiglianti dalle cieche volute illividite,
studiami indagami non c'è complicità
tra le quinte dove appollaiati smerciano speranza
i sicari della vita e la mia esausta adorazione
per il nudo terreno sul quale senza futuro
avremo agio di scampare, di stringerci
passata la notte la mano.

Una che se ne va

Esiste in lei, che lo adora,
un nuovo sentimento.
Sbrigatevi a osservarla in quest'ora
di metamorfosi voluta.
A suo modo, silenziosa, a noi, umana
gente, ci saluta.
L'abbiamo delusa? Troppo facile.
Ha cancellato antiche tracce di scambi
con altri, parenti, amanti, amiche.
Si è disfatta di molti possessi, rifatta
di lunghi romitaggi sentimentali.
A un primo sguardo, e a un secondo
codardo, parrà incarognita, disingannata.
Lasciatela sfilare tra la vostra impaurita severità,
datele la libertà che ha scoperto
abitarle dentro e rassegnatevi:
Le risultiamo estranei e buffi
nella nostra debole ferocia.
Ci ama ancora, ma abbiamo l'aspetto
di innumerevoli bambini,
e lei ne aspetta uno di tutt'altra natura,
che non somigli a nessuno, e che mai
s'incarni. È tutta intenta alla nuova creatura
che non nascerà, ma che già creata
le chiede insieme abbondante alimento
e serena sepoltura.

Niente di me

Si continua a morire ma non qui. Non avrai niente di me.
Oscenità e ancora oscenità.
Prima una recita il mondo e le genti sul palco.
Ora sul marciapiede di fronte
all'uscita colorata osservo
come un cane affamato
che attende pietosi avanzi
l'amoroso scontrarsi di omeri aguzzi.

Non avrai niente, niente di me.
Stivati nella memoria, schizzi di sangue
imbrattano le palpebre
che volevo baciare e placare.
L'alta missione era farsi da parte
e non odiare. Tardi
me lo disse il dolore.
E non c'è addio, non c'è morte che redima.
La resa è una tana, il riposo un recesso.
Deposte le armi, deposte ancor prima
le emozioni del combattimento,
non so a chi consegnarmi.

Non avrai niente di me, se non me stesso
in questa stanza affumicata
dove fumo e mi oriento e mi sogno
e scaccio il sonno e ti aspetto
mentre sale il bisogno
del tuo perdono,
del perdono di quanti trassi in inganno
dicendo che credo, che so, che sono.

Paolo Maccari 

(da Contromossse, di imminente pubblicazione)

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