Walid

Cronaca

5 febbraio 2013

Un proverbio africano recita: "Puoi svegliarti anche molto presto all'alba, ma il tuo destino si è svegliato mezz'ora prima di te". Vi racconto di come un abbraccio mi ha salvato la vita.


Mentre dall'altra parte del Mediterraneo i miei connazionali si apprestano, frenetici, a vivere il lungo e meritato week-end che per alcuni sarà di riposo, per altri di sfrenate serate, per altri ancora sarà di ricongiungimento con la famiglia, io mi alzo dal letto, poggio i piedi a terra e penso che sta per iniziare una nuova settimana, una specie di muta antifona di ogni santa mattina. Sì, perché qui è comune, tra noi militari in missione di pace, pensare che ogni benedetto giorno si chiami solo e soltanto lunedì. Il tempo, in senso cronologico, qui non è una variabile costante, anzi affermo con ironia che è in costante variazione, più bizzarro del suo omonimo meteorologico. Quanto a questo, accade che, mentre sei abbracciato dal sole, il quale sembra dire non ti abbandonerò mai, ecco, dieci minuti dopo, già ti ha tradito e sei costretto a correre per cercare riparo da un violento acquazzone.


Qui c'è sempre da fare, ti accorgi della domenica solo perché telefoni a casa, parli con qualcuno dei tuoi cari e ti sembra di percepire l'odore del ragù dalla cornetta. Chiudi gli occhi e pensi a quanto ti manchi il ragù, la domenica!

Ebbene sì, chi ama il ragù sono io! Mi chiamo Luca, ho 27 anni, da otto anni presto servizio come volontario per l'esercito Italiano e sono impegnato in missione di pace Unifil in Libano esattamente come nel 2010 anno cui e' riferito il mio racconto.

Mentre mi preparo a uscire fuori in pattuglia, rifletto su una cosa: i miei coetanei si ostinano a pensare, con qualche leggerezza, che la vita di un giovane militare sia fatta soltanto di caffè, cellulari e sigarette. Non è così! Il senso della vita è tutto nei valori nei quali credi: l'amicizia, la solidarietà, la consapevolezza di agire per un bene comune, superiore ai piccoli interessi privati. L’orgoglio di partecipare a una missione di pace mi ammansisce, mi fa vincere la struggente nostalgia del mio paese, mi restituisce il senso di appartenenza ad una piccola comunità che persegue un nobile scopo: la pace!

Ci sono giorni in cui mi sento stanco, agitato, scoraggiato. Oggi è uno di questi. Sarà la pioggia che cade incessante da settantadue ore, sarà che ho litigato con la mia ragazza giusto ieri sera, sento dentro come un torpore greve. Sarei rimasto tranquillamente a letto, invece sono sul blindato, con la mia squadra, pronto a pattugliare la zona assegnatami. È un ordine e, come ogni militare degno di tal nome sa, gli ordini vanno eseguiti. Ammetto che, se fossi stato il comandante di me stesso, vedendo il bisogno che hanno di noi qui, avrei comandato a me stesso il massimo di sollecitudine possibile. Tuttavia non avrei potuto impartire ordini al mio stato d’animo, ai miei turbamenti, essi sgorgano dal profondo dell’animo e sembrano non avere briglie. Solo il senso di responsabilità li contiene, pur senza domarli.

Son passate due ore dall'inizio del nostro servizio e tutto procede senza intoppi: né i componenti della mia squadra né io segnaliamo alcunché di sospetto, tutto sembra andare nel verso giusto e la circostanza migliora il mio umore. In lontananza vediamo scendere  dalla collina verso la strada dei bambini, saranno una decina. Corrono a piedi nudi nel fango, allegri, quasi questa sia una bellissima giornata di sole, utile per scorribande all’aria aperta. Conosco il motivo della loro gioia: siamo sempre forniti di merendine, succhi di frutta, qualche piccola leccornia. Visto che il mio morale è migliorato, decido di fermarmi per una breve sosta e premiare le loro aspettative. Siamo qui anche per loro, anzi considerando che loro sono il futuro, siamo qui soprattutto per loro, affinché un domani sui loro volti sia acceso il sorriso. Si avvicinano a non più di due metri da noi. Tendono, rispettosi, le manine verso di me. Non mi faccio pregare: distribuisco cioccolato, merendine, bibite, li esorto con gesti a non litigare, faccio loro intendere che ce n'è per tutti. Che bello vederli felici! Conosco la loro triste condizione e penso a quanto più fortunati siano i bambini italiani, per i quali le merendine sono ben altro che un lusso, abituati forse a ottenere ciò che desiderano. Eppure i miei piccoli connazionali non mi paiono felici quanto questi coi quali mi intrattengo. Che siano questi ragazzini dei quali non intendo la lingua a darmi una sensazione di benessere?

Saranno passati dieci minuti da quando ci siamo fermati. È ora di riprendere il servizio di pattuglia. Ordino di rimetterci in moto.

Mentre mi accingo a salire sull’automezzo, sento la mano di qualcuno che mi trattiene. Mi volto. È uno dei bambini. Gli sorrido e gli faccio capire che non ho più nulla da dargli, ma lui non vuole altro che… Inaspettatamente mi abbraccia. Resto senza parlare per qualche secondo, non riesco a muovermi, sono confuso e interdetto.Sapevo che gli abbracci lasciassero fluire il calore della propria umanità ,ma la mia formazione militare mi ha sempre reso scettico verso questa teoria,ma mi dovetti ricredere.mi sentivo bene e si mise in moto dentro di me un sentimento fino ad allora sconosciuto ma che vive dentro di noi da sempre:L'istinto paterno,accarezzai la sua testa come un padre fa con il figlio,fu un gesto istintivo, lui mi guardò e sorrise.Esisterà anche un istinto paterno, a fronte di quello materno? Forse sì, se guardo alla spontaneità del mio agire in questa circostanza. Pare che una stretta calorosa sia contagiosa e induca all’emulazione. Se così fosse, si potrebbe prospettare la concordia sociale.

Non nego il mio scetticismo; tuttavia devo ricredermi quanto penso che il gesto affettuoso del bimbo mi ha reso felice e molto più disponibile di quanto non sia usualmente.

Il piccolo e piacevole contrattempo mi ha tenuto lontano dai compagni, apparentemente senza una giustificazione plausibile. Sono, in pratica, solo quando sento un frastuono, come di qualcosa di pesante che impatti al suolo. Il bambino, forse spaventato, s’allontana. Quasi non me ne accorgo, preoccupato per il fragore appena udito. Volgo lo sguardo dalla parte dalla quale è provenuto e mi accorgo che il boato è causato da un fenomeno qui abbastanza frequente. La pioggia degli ultimi giorni ha provocato l’ennesimo smottamento. Massi enormi sono disseminati ai lati della strada, precipitati proprio nell’area in cui è previsto il nostro stanziamento per la giornata. Un lampo nella mente, penso al bambino di poco fa, mi volto e lo vedo, in lontananza, correre verso l’area abitata. «Ehi» - gli urlo dietro - «what's your name?» Un suo compagno si avvicina e, a gesti, mi fa intendere che, in cambio di un regalino, mi dirà il nome del fuggitivo. Sto al gioco, tiro fuori un pacco di chewing gum, glielo porgo. «Walid, Walid» - ripete il piccolo e scappa via. Mi rivolgo ai miei compagni poco distanti, anch’essi visibilmente scossi, e dico loro di chiamare, via radio, la sala operativa perché attivino le procedure del caso. Naturalmente non dico nulla di Walid. Giustifico il ritardo sui tempi di marcia con un presunto malore occorsomi, causato, affermo, da cibo probabilmente avariato; dopo tutto, il piccolo piacevole contrattempo ci ha risparmiati un incidente reale. Per poco che ci fossimo spostati, avremmo avuto la frana addosso. Così, in seguito, ho fatto credere di essere stato fortunato a sentirmi male proprio nel momento del disastro. I miei compagni di squadra considerano una felice occorrenza il mio supposto malore.

Terminate le operazioni di sgombero quando ormai è sera, liberato un passaggio per ristabilire la viabilità a una corsia, messa in sicurezza la zona, ritorniamo alla base. Sono molto stanco, ma ciò non mi impedisce di fare una piccola ricerca sul web. Digito su un motore di ricerca la parola “Walid”. Tra i risultati spunta quello che le assegna il significato di “nuova nascita”. Sorrido perché effettivamente mi sento rinato.

Non saprò mai quale sorte toccherà a Walid, se è vero che così si chiama. Mi piace pensare che sia stato il suo abbraccio a salvare la mia squadra dall’imminente frana. Il pensiero mi mette allegria. I bambini, tutti i bambini ci salveranno dai disastri. Magari loro saranno più saggi di noi. Sebbene sia solo una speranza, l’idea mi accarezza e mi concilia il sonno.Ora sono di nuovoin missione e mi sento protetto dall'abbraccio di Walid.

 

di Luca Piscitelli

 
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