Il Libano è una terra dove si torna. Si torna perché affascinati dalle sue mille contraddizioni, si torna per servizio, perché al tuo reggimento viene di nuovo assegnato un turno. Si torna perché il Libano ti ha lasciato un segno. Non è un posto qualunque, anonimo, dove si passa e del quale non si conserva niente, immagini, sapori. Il Libano ti rimane in mente, nei ricordi, nei sapori.
Il Libano ti rimane negli occhi, con suoi colori, con i suoi panorami. Con l’immagine di Tiro vista dalla strada che da Shama scende ad Al Bayadah. Sembra una città bianca sospesa nel cielo, gli scherzi della prospettiva. Nelle giornate limpide, quando il confine tra il cielo e il mare scompare, potresti stare ore a fissarla per vedere se si muove nel cielo come una nuvola, spinta dal vento che in Libano non si ferma mai, come la sua gente.
Ti rimane in bocca il sapore del Libano, dello zàtar, quel misto di spezie selvatiche, audaci, cresciute in una terra pietrosa, rossa, scaldata da un sole implacabile. Lo zàtar sul mancusci caldo, mangiato in piedi appena uscito da un forno improvvisato, ai lati della strada del villaggio. Il Libano è il sapore di un’arancia, dolce, piena di succo. L’ho staccata direttamente dall’albero in un campo poco fuori il villaggio, mi ci ha portato Adnan, lo considero un amico anche se ci capiamo poco. Mi ci ha portato facendomi camminare sui canali d’irrigazione fatti in pietra, che dissetano gli alberi di aranci da chissà quanti anni.
Il Libano è la stretta di mano di Hassan, uno dei ragazzi del Mosan Center. È il suo modo per comunicare e dimostrare la sua felicità per la foto fatta con l’elmetto blu dei peacekeeper di UNIFIL, quella stretta di mano vale più di un fiume di parole.
Il Libano è la messa di Natale, ascoltata in una chiesa ad Alma Achab. La liturgia, le preghiere sono le stesse, udite sin da piccolo, solo la lingua è diversa. Sentir recitare il Credo o il Padre Nostro in Libanese appare strano, sembra stridere con la musicalità del nostro italiano, è sufficiente però chiudere gli occhi e farsi trasportare dai suoni, delle parole del prete.
Il Libano è l’odore del mare, delle onde che sbattono sugli scogli della costal road, così vicine da far arrivare gli spruzzi sulla strada. Sembrano due nemici che combattono, uno sempre in movimento, l’altro immobile, sembra vincere. Da millenni vanno avanti e l’odore che il loro scontro mi porta è l’odore di Libano.
Il Libano è molto altro, lo so. E’ millenni di storia frastagliati dalle mostruosità di anni di guerre. È il Monte Libano con la sua neve, è la valle della Beka’a con i suoi vigneti, è Beirut con i suoi palazzoni e le sue mille banche, lo so. Ma questo è il mio Libano, quello che non mi abbandona mai.