[caption id="attachment_18" align="alignnone" width="300"] Lo slum di Calcutta che sorge lungo la ferrovia[/caption]In lontananza si sente il fischio del treno. La gente si alza, lenta, e ordinatamente, smette di fare quello in cui era impegnata e si sposta verso i lati della ferrovia. Il popolo dei binari è abituato al passaggio dei treni, ne riconosce i segnali, ne può quasi sentire l'odore. Capre, galline, cani e gatti, seguono i padroni. I bambini scappano e si rincorrono, scalzi e sudici. Sono bambini, come quelli che abitano ogni altra latitudine del Mondo. Sono bambini, e per loro il passaggio del treno è un gioco. Sembra di guardare il mare: l'arrivo della marea, che onda dopo onda, porta via metri di spiaggia. È una sinfonia di suoni e voci che stordisce. Il treno corre così vicino alle baracche, che pare impossibile vederle ancora lì, miracolosamente in piedi, dopo il suo passaggio. Poi tutto torna come prima, con la stessa lentezza, lo stesso ordine, lo stesso concerto di voci e rumori. C'è chi accende il fuoco per riscaldarsi e cucinare, chi si lava con l'acqua raccolta alle fontane, in città, chi gioca a carte, chi si pettina, chi salta la corda, chi sta semplicemente seduto, a guardare l'orizzonte, in attesa del prossimo treno. Alla stazione di Calcutta ne arriva uno ogni 15-20 minuti e il capotreno sa che deve suonare forte. Deve suonare forte perché c'è sempre quello che si è stordito di alcol per non sentire la fame e il dolore, c'è sempre un bambino che non capisce il pericolo e si attarda sulle rotaie. Il popolo dei binari è il popolo di uno degli slum più grandi e poveri di Calcutta, il capoluogo del West Bengala. Le baracche, che stanno a mezzo metro di distanza dalle rotaie, sono fatte di stracci, vecchi pezzi di plastica rotti, cartoni, lamiere, tubi di alluminio, assi e pali di legno. Solo in qualche baracca c'è l'elettricità, perché il proprietario è riuscito ad attaccarsi ai cavi della municipalità, in un pesante groviglio di fili che penzola pericolosamente da tutte le parti. Sono arrivata a Calcutta per parlare degli abusi sessuali sulle donne, sugli esseri più indifesi, emarginati, che per religione non hanno alcun diritto, tantomeno quello alla felicità. Sono arrivata a Calcutta con l'idea di raccogliere le storie di chi aveva subito quel tipo di violenza, perché questo è lo Stato dell'India in cui si è registrato il maggior numero di abusi sulle donne, quest'anno, secondo i dati del registro dell'ufficio nazionale sul crimine. Eppure è stato solo qui, lungo questi binari, che ho capito. Ho capito che per raccontare quello che sta davvero accadendo nel Paese, bisogna prima respirare l'odore della violenza quotidiana, quella della negazione stessa dell'essere umano. Una violenza che non può essere compresa senza toccare quelle mani che si tendono davanti a te per salutarti, senza fermarsi accanto a quell'umanità che guarda l'orizzonte, in attesa del prossimo treno.
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