È possibile misurare la sicurezza dell’America e del mondo a un anno dalla morte di Bin Laden? Il villino di Abbottabad è stato polverizzato. I segnali di Al Qaeda arrivano con brevi messaggi via Internet. Al Zawahiri, il successore di Osama, sconta pochezza di mezzi e di uomini, ma la sua rete non è morta. I kamikaze solitari infiltrati in Yemen, Somalia e Siria sembrano più rifugiati del terrore che gruppi di fuoco devastanti, ma possono tornare a colpire. La primavera araba, i massacri in Libia e in Siria, hanno oscurato e spostato gli effetti della violenza estremista verso quella dei regime autoritari.
L’intera strategia antiterroristica Usa è cambiata dopo il blitz dei Navy Seals in Pakistan che continua a lasciare nervi scopertissimi tra Islamabad e Washington. In tre anni di presidenza Obama il famigerato «waterboarding» e le torture dell’era Bush sono state sostituite dai droni e dai blitz. Guantanamo non è chiusa, ma i «nemici combattenti» di Cheney e Rumsfeld diventano adesso oggetto di trattativa per un addio alle armi dei talebani e un ritorno alla vita politica in Afghanistan.
Sembra trascorso un tempo infinito dall’annuncio alla nazione che Bin Laden è stato «rispettosamente ucciso e seppellito in mare». Non c’è dubbio che nel rievocare il successo di Cia e Pentagono nell’anniversario ci sia una partigiana speculazione elettorale da parte di Barack, ma l’imprendibile principe del terrore ideatore dell’11 settembre è stato davvero ucciso dai Navy Seals, mentre Bush gli ha dato inutilmente la caccia per 10 anni. Obama lo vuole ricordare agli avversari repubblicani quando insistono che la sua politica sulla sicurezza nazionale rimane debole. Tocca a Romney però dimostrare che è meglio di lui, e scomodare gli stereotipi della guerra fredda con qualche parola muscolosa contro i cinesi non lo porterà lontano in questo campo.
Ieri è salito a 1934 il numero dei soldati Usa che continuano a morire in Aghanistan. Nella guerra sbagliata dell’Iraq sono stati oltre 4600. Fare cessare questi due conflitti doveva essere una priorità. Avere avviato lo scontro coi terroristi fuori dal Paese convinti di esportare democrazia, è costato all’America un prezzo umano e finanziario enorme. Sarebbe un errore imperdonabile ritenere che la vita dei soldati continua a valere meno dei caduti di «ground zero».