I paperoni non sentono la crisi

Esteri

7 giugno 2012
I COLOSSI di Wall Street l’hanno provocata, ma oggi sono gli unici a non risentire della crisi che domina le grandi economie mondiali. Gli stipendi dei grandi manager e i patrimoni dei miliardari crescono anche se sale la disoccupazione.

I profitti si impennano anche se le produzioni e i consumi si riducono. La ricetta per i ricchi e per i poveri dominerà le prossime elezioni americane. Romney non ha nessuna intenzione di presentarne una ma si limita a dire che quella di Obama ha fallito e guadagna consensi. Il mercato del lusso sta vivendo una nuova stagione straordinaria e addirittura è il super lusso quello degli yacht e dei super attici, dei jet privati e dei gioielli la struttura portante di una nuova visione dell’«ineguaglianza globale».

Con decine di migliaia di aziende in stato di crisi e in solidarietà, super manager come Robert Kravis il capo del colosso mondiale del private equity KKR può staccarsi un assegno annuale di 30 milioni di dollari e e staccare un altro di beneficienza alla Columbia University di altri 100 così dovrà pagare solo pochi centesimi di tasse. L’ineguaglianza dei profitti e dei prelievi fiscali tra chi vive dentro e fuori la borsa rimane abissale. Vale per gli Stati Uniti ma vale anche per il Brasile e la Cina dove secondo il Finacial Times, sono 330 le città cinesi che hanno superato gli standard della ricchezza individuale di Shangai, New York e Londra.

L’ECONOMIA americana continua a crescere ma ad un tasso moderato. Il «libro grigio» della Fed non aiuta Obama. E’ la velocità di questa crescita che frena i favori verso il presidente americano, frena le assunzioni ma impensierisce anche il presidente cinese che dopo anni di sviluppo a doppia cifra adesso vede anche lui la contrazione dei consumi. La mancanza di regole o la non applicazione di quelle che ci sono porta a far si che se la borsa pur continuando a rimanere fragile e in bilico tutela la categoria dei super manager che la alimentano con le loro decisione garantendo loro aumenti netti minimi del 20% . È capitato pochi giorni fa a Jamie Dimon della Jp Morgan che dopo un buco di oltre 4 miliardi di dollari, si è aumentato il compenso a 23,7 milioni di dollari.

Chi spera che il G20 di Los Cabos in Messico possa fornire indicazioni solide realistiche su sviluppo e maggiore equità, su limitazioni all’azzardo morale e disciplina della speculazione finanziaria, probabilmente spererà invano.
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