Solo due parole chiave: economia e immigrazione. Ruota attorno a questi temi cruciali, la ripresa e il voto latino, la difficile e costosa campagna elettorale americana. Obama, preoccupato dai numeri di un’economia infelice e da una Fed che rivede al rialzo il tasso di disoccupazione 2013, anche se un unico e misterioso sondaggio lo dà in testa di 13 punti, rimane coi piedi per terra, non si illude e insiste per nuovi stimoli economici che producano lavoro e consumo. Romney lo incalza elencando le «promesse mancate» e offrendo come ricetta un paese con meno regole e più potere d’impresa, convinto che dietro la deregulation e con tasse più basse sarà il mercato a riaggiustare tutto da solo. I grandi sponsor conservatori si riuniscono in questi giorni a San Diego a porte chiuse per raccogliere almeno 500 milioni di dollari da iniettare in una mastodontica campagna pubblicitaria tv a favore di Romney che potrebbe di gran lunga superare i mezzi non minimi dei democratici, che contano su donazioni singole e star di Hollywood.
È ancora troppo presto per la volata finale, ma il linguaggio è già cambiato. Barack e Mitt sono tornati sull’autobus per sentirsi più sulla strada e in mezzo alla gente. Il voto ispanico diventerà un’altra volta l’ago della bilancia. Il progetto di Obama per sanare la piaga dell’immigrazione clandestina partendo dai giovani di talento è stato ben accolto. Più tiepido il giudizio sulle «aperture» minime di Romney. Tutti cercano il cuore degli elettori. Obama vuole vendere il suo «dream act» a un’America che cambia troppo lentamente, Romney si presenta per cancellare appena possibile tutto quello che il presidente ha fatto, iniziando dalla riforma sanitaria. La decisione della Corte suprema sull’obbligatorietà dell’assistenza medica per tutti, rinviata alla prossima settimana, è destinata ad avere un peso enorme.
Il voto latino che nel 2008 andò a Obama, adesso col senatore della Florida Rubio, indicato da molti come il vice di Romney, potrebbe tornare pesantemente in gioco anche in altri stati chiave come Nevada e New Mexico. L’incertezza è tale che gli adattamenti sono continui e Barack ieri per la prima volta in questa campagna parlando agli ispanici ha chiuso il suo discorso dicendo: «Yes we can… Sì, se puede…»