C'è una larga America col mal di pancia che non vuole l’attacco alla Siria, «né limitato né proporzionale». C’è un’America che non crede nemmeno che la guerra civile a Damasco con i suoi 2 milioni di profughi,4,5 di senzatetto e oltre100mila morti rappresenti un problema per la sicurezza nazionale Usa. C’è soprattutto un’America popolare che ha votato per Barack Obama che cerca con ogni mezzo di dissuadere il presidente dal colpire il regime di Assad perché teme possa aprirsi un esplosivo vaso di Pandora in Medio Oriente al quale nessuno sarebbe più in grado di mettere un coperchio. Non si tratta di un «contagio pacifista», anche se migliaia di dimostranti sono ormai nelle strade e gridano «Obama giù le mani da Damasco».
Si tratta della stanchezza per le guerre irachena e afgana che si stanno concludendo a fatica con i morti americani che sono ormai tre volte superiori a quelli delle Torri Gemelle. La credibilità degli Stati Uniti sul piano internazionale e la fermezza delle parole del presidente che ha invocato il voto del Congresso sull’attacco, giustificandolo anche con la difesa di Israele e con un forte monito all’Iran, è affidata adesso alla precisione chirurgica dei missili Tomahwak e dei Cruise se verranno lanciati. Barack vuole impartire alla Siria una «lezione militare» per riportare gli interessi del mondo sull’eliminazione delle armi di distruzione di massa.
Pochi americani però credono che il messaggio con le bombe potrà essere duro e strategico insieme, pedagogico e una tantum, devastante da un lato, ma utile alla riapertura del dialogo dall’altro. Questa volta le resistenze sono trasversali e pescano sia in campo repubblicano sia democratico. C’è chi vede l’azione contro Damasco come il blitz lampo di Reagan contro Gheddafi, ma erano altri tempi.
Quando Obama chiede un voto al Congresso esaltando la democrazia parlamentare, compie un gesto significativo, ma se poi pensa di ignorare la volontà delle Nazioni Unite anticipando o evitando il voto in Consiglio di Sicurezza, rischia di usare nei confronti del resto del mondo non gli stessi pesi e le stesse misure. La «punizione» del regime di Assad dovrebbe essere cercata senza «bombe simboliche», ma presso il tribunale internazionale portando i responsabili a rispondere, in tempo reale, dei loro crimini.