Il rischio ritualità. Una Giornata da ripensare

Cultura

28 gennaio 2012
DODICI anni dopo l’istituzione della Giornata della Memoria, il rischio è quello del rito consolatorio, dell’abitudinaria e stanca rievocazione della Shoah e dei sei milioni di ebrei sterminati dal nazifascismo. Bisogna averlo ben presente, questo rischio, per sfuggirlo. E per sfuggirlo bisogna evitare di mettere a tacere la coscienza, dandole in pasto i sessantamila italiani, soprattutto professori e studenti, che ogni anno si recano in vista ad Auschwitz, o le decine di incontri nelle scuole con gli ultimi testimoni dei lager. L’assuefazione, la banalizzazione sono in agguato, pronte a divorare la Memoria fingendo di tutelarla. Bene fa Stefania Consenti a proporci questa riflessione con Il futuro della Memoria (edizioni Paoline, 138 pag.), un libro che infrange la ritualità e cerca nuovi modi di affermare il rifiuto della disumanità.

E’ quanto suggeriscono anche Nedo Fiano, Liliana Segre e Piero Terracina, tre testimoni sopravvissuti che la giornalista del Giorno ha intervistato. Da anni girano l’Italia per raccontare agli studenti ciò che hanno visto nell’inferno sceso in terra, per descrivere il Male che stermina in nome dell’Ordine e della Razza. Ma che sarà dopo di noi, che sarà quando più nessuno potrà dire io c’ero? E’ la loro angosciata domanda, che racchiude la paura di una vittoria del negazionismo. Per evitare che ciò avvenga bisogna allora, da subito, ripensare alla Giornata della Memoria. Non più un isolato momento in cui ricordare la Shoah, per poi richiuderla nella teca dell’oblio.
NON PIÙ una data tra tante che nulla svela delle responsabilità italiane di quell’Olocausto. Non più la sola testimonianza di un lampo che non aiuta a capire i sintomi del sorgere della tempesta. Non più solo un ‘obbligo’ a insegnare e ad ascoltare assolto pigramente da docenti e da studenti. «Parlare di Shoah è di moda», osserva amaramente Liliana Segre. Ma qui si tratta di capire, non di parlare.
Allora - emerge dal libro di Stefania Consenti - non basta più la buona volontà di pochi o la disponibilità rituale di altri. Tocca allo Stato dare il dovuto spazio alla Memoria (a questa come ad altre) negli insegnamenti scolastici, garantire la formazione degli insegnanti e gli strumenti per non dimenticare. Non è solo questione di viaggi ad Auschwitz..

Chi ricorda la noia con cui negli anni ’50 si assisteva alle commemorazioni della Prima Guerra mondiale (40 anni dopo la sua fine), spera che non accada altrettanto con la Giornata della Memoria (67 anni dopo la Shoah).

(pubblicato su Qn-Carlino-Nazione-giorno il 27 gennaio 2012)
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