STA FACENDO il giro del web, l’invito a pregare per la pioggia rivolto ai sacerdoti e ai fedeli dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze. Non mancano le facili ironie oppure le reminiscenze della danza della pioggia dei Nativi d’America. Ma la ‘preghiera della pioggia’, il rito scaccia siccità, è connaturato alle religioni, con i loro echi di millenarie tradizioni pagane. Era così nell’antico Egitto del dio Thot, è stato così in Israele nel 2010, quando centinaia di ebrei si sono radunati al Muro del Pianto per invocare i temporali. E per secoli il cattolicesimo ha portato i fedeli in processione nei campi, alle rogazioni, invocando il Dio dei Cieli. L’appello del card. Betori ha quindi radici lontane, sa di antico, di fede ancestrale. Perciò va rispettato, anche se nei laici lascia una sana indifferenza accompagnata da una sequela di dubbi. Non si farebbe prima con una preghiera preventiva al fine di tenere sempre pieni gli invasi d’acqua? Come si prega quando il medesimo Padrone dei Cieli e della Terra si dimentica di chiudere i rubinetti dei piani alti e quaggiù viene l’alluvione? Perché il Signore non si dedica alla termo-regolazione del clima e delle sue conseguenze, cosa che gli eviterebbe le nostre lamentele stagionali? Non sarebbe meglio pregare per il rinsavimento dell’Uomo che tanta parte ha nelle disgrazie dette impropriamente naturali?
Nel frattempo, la distinzione tra credenti e laici è assai semplice: nei periodi di siccità, i primi pregano, gli altri guardano le previsioni del tempo.