Finalmente. E' finito il tempo dei saluti istituzionali, dei convenevoli e delle benedizioni. La Curia di Reggio Emilia, guidata dal vescovo Massimo Camisasca, alza la voce e interviene sul neo registro delle unioni civili recentemente approvato dal Consiglio comunale. Lo fa tramite un comunicato stampa, non firmato. Ma i principi espressi nel testo sono tutti riconducibili al pensiero del vescovo ciellino: "La protezione di legittimi diritti della persona potrebbe essere assicurata dal diritto civile, senza costruire una “disciplina comunale delle unioni civili”, non prevista nel nostro ordinamento, né istituire un nuovo registro amministrativo". Ma il dato veramente significativo è il pubblico intervento della Curia (o del vescovo?) nelle scelte compiute nella Sala del Tricolore. Qualcosa che a Reggio sarebbe stato quasi impensabile. Che la famiglia tradizionale sia quella da tutelare per il mondo cattolico non è certo una novità ma la cosa che fa riflettere, leggendo il comunicato pubblicato sul sito della Diocesi, è un aspetto non poco rilevante: chi sta parlando, chi ha steso quelle parole? Perché un vescovo può, a pieno titolo, manifestare dissenso ma in questo caso, per la prima parte del comunicato, sembra che tutta la Curia si sia rivoltata contro le unioni civili.
Nella parte critica del testo la Curia coincide con il vescovo Camisasca, che ne dovrebbe essere la guida non l'unica voce. Nella seconda parte del comunicato appare tutta la matrice ciellina lombarda di monsignor Camisasca. La benedizione di chi si è opposto al nuovo registro delle unioni civili. E qua, con un po' di amarezza, invece di andare avanti mi sembra di tornare indietro. Non per la questione politica in sé ma per il modus operandi. E in questo dialogo con i politici 'maturi', il vescovo ci mette la faccia. Sì perché un appoggio e una benedizione dalla Curia, per un politico, non valgono granché, ma l'apprezzamento di un monsignore che farà carriera, per meriti e intelligenza, ha un valore traducibile in termini più profani decisamente maggiore.
Queste le parole: "Il Vescovo riconosce l’opera positiva di quei cattolici presenti in diversi partiti che, impegnati in politica, per libera iniziativa - e prendendo sul serio quanto il Vescovo ha detto riguardo l’istituto familiare sia in occasione della festa della Sacra Famiglia, sia nella prolusione per l’apertura dell’anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico Regionale Emiliano - hanno negato il proprio consenso a questa istituzione dei registri, mostrando maturità ecclesiale e una concezione laica della presenza dei cristiani nella società; essi infatti hanno affermato e difeso un valore di tutti e non di parte, perché la famiglia è il cuore del tessuto stesso della società". Sì, è successo: la Curia, in poche righe, ha diviso i politici in buoni e cattivi (ognuno poi valuterà chi sono gli eroi e i malfattori) e lo ha fatto pubblicamente. Quello che molti cattolici reggiani volevano da tempo. Quello che in molti, cattolici e non cattolici, si aspettavano da un vescovo ciellino. Vedere le nuove forme di famiglia e di vita come una sfida per la nostra società forse è la chiave giusta per intraprendere un percorso, ma cosa succede se tutto ciò si trasforma in competizione, in una gara? Deve per forza esserci un vincitore? Da un'intervista de La Bussola Quotidiana all'allora priore della Fraternità San Carlo, monsignor Camisasca: "Oggi si sono diffuse altre modalità di rapporto tra le persone che vorrebbero durare nel tempo gareggiando con la famiglia tradizionale. Ma queste nuove “forme” non ne possiedono le caratteristiche. La famiglia tradizionale, infatti, vive di una stabilità, di un impegno preso davanti a Dio o agli uomini".