Padroni a casa nostra 3, la vendetta

Cronaca

21 gennaio 2013
Ecco la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti presentata oggi a Milano. Tutte cose note, ormai, anche a chi solo un paio di anni fa diceva che la mafia in Lombardia non esiste...
 L’impresa mafiosa ha raggiunto un preoccupante livello di accettazione sociale che finisce con l’accrescerne la forza economica, il prestigio, il tessuto di omertà e, in definitiva, il potere. Lo sottolinea la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti presieduta dall'on Gaetano Pecorella nell'indagine dedicata alla Lombardia. Nonostante la pessima fama che accompagna gli uomini della ‘ndrangheta, accade che con piena consapevolezza non solo imprenditori, ma anche uomini delle istituzioni e uomini politici, consiglieri provinciali e regionali si rapportino a personaggi del livello mafioso, quale quello di Salvatore Strangio, rivolgendo loro richieste di intervento e di favori vari, anche di carattere politico-elettorali. In tal modo, con simili comportamenti, vengono conferiti a personaggi di tal fatta la piena legittimazione a essere presenti e ad operare nella società civile.

 


Da quando, nel 2001, è stato introdotto nel nostro ordinamento il delitto che punisce le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, nella provincia di Milano si sono svolte circa il 10 per cento di tutte le inchieste italiane: ciò ha posto in evidenza la presenza della criminalità ambientale, anche di tipo mafioso, negli appalti relativi al movimento terra nei cantieri pubblici e privati e nello smaltimento delle scorie industriali. Mentre per quel che riguarda i rifiuti urbani, il livello di industrializzazione raggiunto rende di per sè generlamente immune dalle infiltrazioni illecite la gestione del ciclo, nel settore dei rifiuti speciali (che rappresentano l’80 per cento del totale dei rifiuti prodotti nella regione) il rischio di attività illecite connesse al traffico di rifiuti come pure l’interesse delle cosche è dimostrato da numerose inchieste della magistratura. In particolare le indagini della procura della Repubblica sulle infiltrazioni mafiose nel settore dei rifiuti investono lo specifico settore del movimento terra, nel quale la ‘ndrangheta di fatto opera in regime di monopolio. L’infiltrazione mafiosa nel movimento terra, con il controllo dei camion e dei mezzi utilizzati in tale settore, comporta quale diretta conseguenza il controllo del traffico dei rifiuti pericolosi e non pericolosi, che vengono gestiti in modo del tutto arbitrario e in violazione di ogni regola o criterio di corretto smaltimento.


 


Il movimento terra costituisce il settore primigenio di interesse della ‘ndrangheta imprenditrice, grazie alla presenza sul mercato lombardo e, in particolare su quello di un vero e proprio esercito di “padroncini calabresi”, tutti collusi e sempre disponibili i quali, per un verso, costituiscono un serbatoio pressoché inesauribile, cui attingere a piene mani per il controllo dell’intero settore e, per altro verso, forniscono alla ‘ndrangheta un altrettanto notevole serbatoio di voti da far valere al momento opportuno nei rapporti con la classe politica. In tale contesto, il passaggio della ‘ndrangheta dal settore economico a quello politico diventa molto breve e del tutto automatico, anche in virtù dei consensi elettorali che la ‘ndrangheta è in grado di procacciare. E questo spiega i rapporti tra i mafiosi e alcuni referenti politici a livello regionale, quale è emerso in numerose inchieste giudiziarie. Tutto ciò è reso possibile in un contesto caratterizzato dall’unità di fondo che lega gli uomini della ‘ndrangheta e dal loro senso di appartenenza a un fenomeno criminale, sociale e culturale essenzialmente omogeneo e dichiaratamente alternativo, rispetto alle istituzioni statuali. Tale configurazione è resa ancora più pericolosa dalla flessibilità tipica della ‘ndrangheta che genera “agglomerati organizzati a geometria variabile”, che tagliano orizzontalmente il tradizionale vincolo di appartenenza alle singole famiglie. Soggetti accomunati dall’appartenenza alla comune casa ‘ndranghetista costituiscono alleanza operative d’occasione, ponendo insieme uomini, risorse, rapporti e relazioni utili. Il tutto accade con estrema celerità e lo stesso nucleo originario può costituire alleanze stabili con più soggetti provenienti da altri nuclei, producendo una serie di sottostrutture, in grado di moltiplicarsi senza limiti. Le indagini svolte dalla Dda di Milano - il cui impianto accusatorio ha trovato conferma nelle prime decisioni di merito - hanno posto altresì in evidenza un vero e proprio salto di qualità della ‘ndrangheta nella realtà economico/sociale della Lombardia, rappresentato dall’acclarata esistenza di una serie di relazioni politiche, professionali, economiche, amministrative con altrettanti soggetti ed esponenti della società civile e amministrativa, nonché con esponenti della classe politica. In conclusione, accade che il soggetto “esterno” svolge, per lo più, attività intrinsecamente lecite e quindi non autonomamente punibili, sicché l’aspetto di grande insidia legato alla esistenza di queste relazioni è la difficoltà di dare ad esse una connotazione in termini penalistici e incriminatori.


 


Si deve ritenere e affermare, alla luce delle inchieste della Dda di Milano, che la ‘ndrangheta ha ripartito il territorio di grande parte - se non di tutta - della ricca regione Lombardia (oltre che delle altre regioni del Nord Italia), secondo un criterio “a zone”, che non lascia fuori nulla e garantisce un controllo pressoché assoluto su tutte le attività oggetto di interesse. La gestione dell’attività dell’impresa mafiosa, proprio perché non ha nulla a che vedere con quella ordinaria, stravolge non solo ogni regola dell’economia di mercato, ma - più in generale - stravolge i rapporti di convivenza civile. Una particolare attenzione ha dedicato questa Commissione di inchiesta all’operazione “Tenacia”, che ha investito un processo di infiltrazione e, poi, di acquisizione delle società comprese nel gruppo Perego da parte del clan mafioso ‘ndranghetista facente capo a Salvatore Strangio. Erano in tutto una sessantina i cantieri aperti in Italia, gestiti dalla Perego, che aveva 300 dipendenti, un giro d’affari di 150 milioni di euro e un solo obiettivo di medio periodo: l’Expo 2015.  L’impresa è stata oggetto di un  progressivo e inesorabile processo di “colonizzazione”. Altro caso significativo è quello del gruppo Locatelli,  che oltre ai rapporti con la ‘ndrangheta, aveva anche rapporti con le istituzioni ai più alti livelli, come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere del Gip di Brescia applicata, tra gli altri, nei confronti di Franco Nicoli Cristiani, vice presidente del Consiglio regionale della Lombardia. Non appare dunque episodico il coinvolgimento della ‘ndrangheta nei lavori dell’Expo, posto che il prefetto di Milano, dottor Gian Valerio Lombardi, ha dichiarato che anche la Lucchini Artoni Srl si avvaleva per il carico e scarico della terra nei lavori della metropolitana 5 dei calabresi legati all’organizzazione mafiosa e che, dopo tale scoperta, i lavori della metropolitana sono stati sospesi e ben 17 ditte collegate ai clan mafiosi erano state allontanate. Appare pertanto evidente che, in entrambi gli episodi e nella fase iniziale dei lavori, non ha funzionato l’attività amministrativa di prevenzione, volta a impedire l’intervento subdolo e indiretto della ‘ndrangheta nelle opere dell’Expo 2015.



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