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Compleanno Luzi (Castello, Firenze, 20 ottobre 1914). ‘Nell’imminenza dei quarant’anni’

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Mario Luzi

Firenze, 20 ottobre 2012 – Per ricordare l'anniversario della nascita di Luzi – avvenuta il 20 ottobre 1914 a Castello, all'epoca frazione di Sesto Fiorentino, oggi quartiere di Firenze – propongo al lettore di queste Notizie, assieme ai versi di Nell'imminenza dei quarant'anni in una significativa lettura d'autore, un mio articolo in forma di lettera apparso su «La Nazione» del 3 ottobre 2004, nell'imminenza dei novant'anni del Poeta e dei molti festeggiamenti che a quella ricorrenza, com'è noto, furono dedicati.

Caro Mario, creatore di un nuovo umanesimo

L’occasione è gioiosa, Mario, del tutto in linea con i significati più profondi di questa piccola testimonianza a favore della tua poesia, per festeggiare i tuoi splendidi novant’anni. Ma ti passo subito la parola, ti sto ad ascoltare come a me piace, come mi è sempre piaciuto. «C’è un momento – hai dichiarato, affrontando da par tuo temi centrali e «tempi» della poesia moderna – in cui la verità, se vogliamo tenerla come ultima finalità, come teleologia della poesia, si è rivelata così, con la semplice celebrazione dell’esistente, di quello che è già, o di quello che si desidera che sia, che venga, che ci manca».

È a ben vedere una definizione quanto mai calzante di ciò che è accaduto anche alla tua poesia, alla tua poesia più recente. Dove risiede ad esempio – mi chiedo e ti chiedo – la ragione della gioia naturalmente mimetica, intrinseca, luminosa, sostanzialmente distante da complicazioni e intralci, e invece festosa, letificante, serena e trascinante per fascini, che una raccolta poetica come Sotto specie umana trasmette?

Frammenti di Novecento è il titolo che un critico ha adottato per uno dei tuoi bellissimi libri-intervista: un titolo quanto mai intonato, in carattere, nel suo divaricarsi fra il plurale di un «molteplice» e il singolare di un «unitario» alluso, che a quei frammenti, parte di un tutto, si riferisce. Ci si ricorda subito dei tuoi titoli, di titoli meravigliosamente giocati su questa stretta dinamica interna: da Frasi e incisi di un canto salutare a Per il battesimo dei nostri frammenti. Ci si ricorda anche che quel Novecento è stato inaugurato, per via di pronostici filosofici tragicamente inveratisi in episodi della storia, come il secolo della «morte di Dio», e che a quel secolo di fine millennio hanno fatto seguito aggravate, quotidiane e globali, evenienze da strazio, da angoscia, da inimmaginabile scelus come tu ancora hai detto, intitolando tuoi versi umanamente delusi, indignati e affranti, carichi di preoccupazione oltre che di esecrazione, di condanna.

Sei stato proprio tu d’altronde, Mario, a individuare con tempestiva chiarezza il sostanziale problema della poesia nel confronto modernamente e drammaticamente impostosi tra le ragioni del frammentario, del disgregato e del molteplice, e quelle, di segno opposto, dell’unitario. Un confronto storicamente montante, fattosi con gli anni sempre più tragico e ineludibile, potenzialmente secondo alcuni foriero di inadeguatezze e inconcludenze, perfino di inappellabili e beffardi messaggi di scomparsa.

Ti ascolto ancora, ti ascolto mentre registri, mentre ti interroghi. «La poesia – hai scritto nel 1954, mezzo secolo fa – respira un profondo bisogno di unità laddove la vita psichica e la vita organizzata degli uomini d’oggi è estremamente frammentaria. Ma quella sintesi potrà operarsi oggi nella realtà quando manca ogni seria premessa a concepire integralmente il mondo come realtà che ha principio e termine in se stessa? Oppure la poesia dovrà adattarsi a vivere in sparsi e bruti frammenti?». Poi la tua poesia e l’alta riflessione a margine che essa ha sempre portato con sé hanno distinto con sicurezza tra vivace, animato frammento e inerte, morto frantume. Tu stesso, a commento di un’esperienza dubitante tutt’altro che arrestatasi, hai affermato: «Ciò che unicamente ci rassicura è la vita in sé, lo spandersi continuo della vita sul pianeta nell’universo».

La poesia e la storia, ciascuna con proprie forme di attestazione, di memoria, di indirizzo. L’episodicità del frammentario e del disgregato appare tuttavia, nella tua opera e soprattutto nella tua opera venuta dopo un libro importantissimo come Nel magma, relazionalmente ritrovata nella sua sostanziale afferenza integrativa proprio attraverso l’esercizio dell’arte, e ritrovata al centro di una creazione dinamicamente ininterrotta, incredibilmente stimolata anzi, nella sua vocazione allargante, inclusiva e di perfezionamento, all’annessione del particolare a vicende dell’unitario, a promozioni partecipative mediante il linguaggio.

Tutto questo per mezzo di accondiscesi compiti consentiti da un talento-risorsa come il tuo, che è stato e resta la pratica letteraria della poesia, e che al pari di qualsiasi evento vitale esistenzialmente sensibile non cancella ma riabilita, conferendo loro significato, i termini di un’«incognita dolorosa», gli episodi sparsi, in apparenza dissociati, cosmicamente antagonistici e umanamente contundenti, di un unico «dramma» e di un unico «enigma».

La tua poesia, Mario, ha di continuo perlustrato quel «dramma», ha incessantemente interrogato e vorrei dire messo alle strette quell’«enigma». Ma proprio nel fare questo, senza tergiversazioni e infingimenti e invece con molto coraggio, la tua poesia ha raccontato la speranza del mondo, l’ha alimentata. Così l’occasione odierna, credimi, è davvero gioiosa, per te e per tutti, intrisa di quel sentimento di assoluta confidenza con cui ho sempre letto la tua poesia: occasione festosa anche per un convinto tozziano che ha abbinato al punto più alto delle sue preferenze novecentesche, assieme a uno scrittore scurissimo come Tozzi, un poeta lucente come Luzi. Ho fatto di te il creatore di un nuovo umanesimo: un nuovo umanesimo con te accessibile, concretamente sperimentabile, mobilitante. Ed è questa, Mario, la gioia, l’insperata fiducia che in un mondo di «buio sangue» tu sai darci: uno stupore intimo e incircoscritto, aggiornabile, condivisibile.

Marco Marchi

Nell'imminenza dei quarant'anni

Il pensiero m'insegue in questo borgo
cupo ove corre un vento d'altipiano
e il tuffo del rondone taglia il filo
sottile in lontananza dei monti.

Sono tra poco quarant'anni d'ansia,
d'uggia, d'ilarità improvvise, rapide
com'è rapida a marzo la ventata
che sparge luce e pioggia, son gli indugi,
lo strappo a mani tese dai miei cari,
dai miei luoghi, abitudini di anni
rotte a un tratto che devo ora comprendere.
L'albero di dolore scuote i rami...

Si sollevano gli anni alle mie spalle
a sciami. Non fu vano, è questa l'opera
che si compie ciascuno e tutti insieme
i vivi i morti, penetrare il mondo
opaco lungo vie chiare e cunicoli
fitti d'incontri effimeri e di perdite
o d'amore in amore o in uno solo
di padre in figlio fino a che sia limpido.

E detto questo posso incamminarmi
spedito tra l'eterna compresenza
del tutto nella vita nella morte,
sparire nella polvere o nel fuoco
se il fuoco oltre la fiamma dura ancora

Mario Luzi

(da Onore del vero, 1957)

Il ritratto di Mario Luzi a illustrazione del post è un'incisione di Pietro Paolo Tarasco.
L'articolo riprodotto è raccolto al capitolo Luzi nel mio libro In breve. Scrittori del Novecento, edito da Franco Cesati.

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