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Luzi. La poesia ‘nell’opera del mondo’

VEDI IL VIDEO Maria Cassi legge Mario Luzi (con una poesia detta dall'autore)

Firenze, 30 giugno 2012 – Da sempre la poesia di Mario Luzi ha saputo coniugare terrestre e celeste, visibile ed invisibile: versi, i suoi, che riproducono in fogge mirabili – trascoloranti dal dolore alla letizia, dalle interrogazioni drammaticamente dubitanti alla certezza – una dizione incircoscritta del mondo, dell’esistente.

La poesia «nell’opera del mondo»: nella natura come nel farsi storico degli eventi. Un’unica appartenenza intima e umanamente incaricata che dà voce, nel mistero, alla volontà dell’universo a vivere e rivivere attraverso la «trasformazione», il «mutamento», e insieme all’inverarsi di un senso, a quell’adempiersi insindacabile e segreto che costituisce la sua legge profonda.

Memoria e storia vengono così ad assumere in Luzi significati di assoluto rilievo, mentre il tema civile del superamento dell’insensatezza di un «buio sangue» della violenza e della distruzione sfocia e si propaga nel più diffuso afflato verso l’universa compiutezza del cosmo.

In entrambi i casi, partecipando e ricordando, la sua poesia «tende a»: canta costantemente, pur nella rigorosa spietatezza degli accertamenti, su accorate tonalità di esortazione invocante, spesso di fermo ammonimento e di richiamo, ma anche su registri di nitida contemplazione, di intatta e superiore fiducia in quel «magma» che sovrintende alle vicende dell’uomo e del mondo.

Ha scritto il poeta: «Dramma e enigma: provo a isolare queste due parole. Non so se possono davvero riassumermi ma certo vi riconosco molto di me. Il sentimento creaturale con la sua suscettibilità di fronte alle pene e alle offese non è meno forte del giudizio e del senso storico dell’ingiustizia».

Una dizione sconfinata e appassionata, che di necessità porta con sé il tema civile. Ed è questa la cifra che vogliamo qui sottolineare, invitando a riconoscere in un’opera straordinaria come quella di Luzi tanti tragici eventi novecenteschi e di nuovo millennio: dalla Seconda guerra mondiale e i suoi orrori alla Guerra del Golfo poi ferocemente riaccesasi, da Praga al Vietnam, dall’assassinio Moro alle stragi che hanno funestato la recente storia italiana, alle oltranze cruente e quasi inimmaginabili del terrorismo su scala mondiale.

Accadimenti con cui l’arte si incontra e si scontra, fornendo – proprio in questo suo umano non potersi sottrarre a necessità e insieme a un dono ricevuto prezioso come la parola – un’indicazione di valore etico ed educativo: una testimonianza e un pegno memoriale che valgono una continuità, un indirizzo, uno sguardo rivolto al futuro.

Il mondo è insanguinato, il mondo è al buio: «buio sangue». Ma «O anima del mondo / da tutto ferita, / da tutto risarcita…», risponde, perfettamente bilanciandosi tra sofferenza e ricompensa, dramma e speranza, un altro  testo di Mario Luzi (Durissimo silenzio, in Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini).

P.S. Oltre ad esser stato molte volte e da molte voci recitato (voglio ricordare perlomeno Italo Dall’Orto), il testo scenico Buio sangue. Poesie civili di Mario Luzi scelte da Marco Marchi è anche giunto alle stampe: nel 2008, per iniziativa della Fondazione Calzari Trebeschi di Brescia in collaborazione con le locali, raffinatissime Edizioni L’Obliquo di Giorgio Bertelli.

Ancora un'indicazione. Ai versi conclusivi del testo scenico Sangue – sua profusione (tratti da Sotto specie umana e letti peraltro molto bene dalla Cassi) si intrecciano, preregistrati, versi e spezzoni di versi da Abele, in La barca, a suggerire una perfetta circolarità di ricongiungimento tra l’ultimo Luzi e il primissimo: circolarità giocata sui temi del sangue sparso, della storia umana e dei suoi destini.

Marco Marchi

Da «Buio sangue»

Volano i grandi provveditori della pace
con la loro coda di esperti,
gravi, conoscitori a fondo della controversia,
equi nel soppesare
i diritti delle parti. Volano
dunque i signori dell’onesta convivenza
assai larghi di sorrisi
ad ogni scalo del raid – fasciati,
sia pure, di riserbo
non però dubbiosi sul buon esito
del lavoro di rammendo, calmi,
non poco rassicuranti
per tutti, per i morti che la storia ha voluto, peccato, e per i superstiti. 

(da Graffito dell’eterna zarina, in Al fuoco della controversia)

Muore ignominiosamente la repubblica.
Ignominiosamente la spiano

i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto.
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli.
Tutto accade ignominiosamente, tutto
meno la morte medesima – cerco di farmi intendere
dinanzi a non so che tribunale
di che sognata equità. E l’udienza è tolta.

(Muore ignominiosamente la repubblica, in Al fuoco della controversia)

Acciambellato in quella sconcia stiva,
crivellato da quei colpi,
è lui, il capo di cinque governi,
punto fìsso o stratega di almeno dieci altri,
la mente fina, il maestro
sottile
di metodica pazienza, esempio
vero di essa
anche spiritualmente: lui –
come negarlo? – quell’abbiosciato
sacco di già oscura carne

fuori da ogni possibile rispondenza
col suo passato
e con i suoi disegni, fuori atrocemente –
o ben dentro l’occhio
di una qualche silenziosa lungimiranza – quale?
non lascia tempo di avvistarla
la superinseguita gibigianna.

(Acciambellato in quella sconcia stiva, in Per il battesimo dei nostri frammenti)

Diruti gli acquedotti, saltati i cavi elettrici,
inattivi gli impianti di depurazione,
eccole, le abbiamo viste per pochi attimi,
ma viste
indelebilmente sullo schermo,
seppur semicelate dai loro panni e cenci
e chadors e pezzuole variopinte,
le donne di Bagdad con secchi, bacinelle e taniche
entrare nei ristagni della torpida corrente,
chiedere a un Tigri torbo e malvoglioso
acqua per la loro incertissima giornata...
L’estrema deiezione della creatura umana
non ha tempo. Poteva
essere mille anni fa o tremila.
La causa, neppure quella, muta.
Il fiume sotto i suoi crollati ponti
potrebbe, esso, attestarlo.
Nulla cambia nella fortuna umana -
barbugliano, si sente,
le acque grevi e impastate di rovine.
Nulla cambia – davvero nulla cambia?
Allora perché questa rivolta? Del sangue, dell’intelligenza
come per una empietà? è nell’ordine
antico, è nel previsto
ritmo dei suoi effimeri sussulti
essa pure? Arcaica al pari della guerra
che sloggia il paradosso dei suoi avveniristici strumenti?
Davvero nulla cambia? nulla si redime?
Vanno e vengono nelle loro tuniche
gonfie di vento, intrise d’acqua, loro
donne di Bagdad al fiume benefico e insidioso.
La morte è la sola maestà
che non vien meno. E sola
ci assicura della sacrosanta vita...

(Le donne di Bagdad, in Sia detto)

Lavata –
non ancora, non abbastanza
è lavata la città.
Corre il sangue, corre
verso le chiaviche
flagellato dagli idranti,
incalzato dalle spazzole.
Ecco, non c’è più sangue
in vista,
è disceso tra le griglie
tutto, dentro gli scarichi
pretto o mischiato
con acqua e con fanghiglia
tutto, tutto verso le tenebre.

(da Belfastina, in Frasi e incisi di un canto  salutare)

Sia detta per te, Firenze,
questa nuda implorazione.
Si levi sui tuoi morti,
sulle tue molte macerie,
sui tuoi molti
visibili e invisibili tesori
lesi nella materia,
offesi nell’essenza,
sulle tue umili miserie
ferma, questa preghiera,
I santi della tua storia
e gli altri, tutti,
della innumerabile corona
la portino in alto,
le soffino spirito e potenza,
ne cingano d’assedio
le stelle, i cieli,
le superne stanze:
«giustizia non ti negare
al desiderio degli uomini,
scendi in campo, abbi la tua vittoria!»

Sia detta a te, Firenze,
questa amara devozione:
città colpita al cuore,
straziata, non uccisa;
unanime nell’ira,
siilo nella preghiera.
Vollero accecarti, essi,
della luce che promani,
illumina tu, allora,
col fulgore della collera
e col fuoco della pena
loro, i tuoi bui carnefici,
perforali nella tenebra
della loro intelligenza, scavali
nel macigno del loro nero cuore.
Sii, tra grazia e sofferenza,
grande ancora una volta,
sii splendida, dura
eppure sacrificale.
Ti soccorra la tua pietà antica,
ti sorregga una fierezza nuova.
Sii prudente, sii audace.
Pace, pace, pace.

(Sia detto, in Sia detto)

Dimettete la vostra alterigia
sorelle di opulenza
gemelle di dominanza,
cessate di torreggiare
nel lutto e nel compianto
dopo il crollo e la voragine,
dopo lo scempio.
Vi ha una fede sanguinosa
in un attimo
ridotte a niente.
Sia umile e dolente,
non sia furibondo
lo strazio dell’ecatombe.

Si sono mescolati
in quella frenesia di morte
dell’estremo affronto i sangui,
l’arabo, l’ebreo,
il cristiano, l’indio.
E ora vi richiamerà
qualcuno ai vostri fasti.
Risorgete, risorgete,
non più torri, ma steli,
gigli di preghiera.
Avvenga per desiderio
di pace. Di pace vera.

(Gerusalemme)

Sangue – sua profusione
in ogni dove
del mondo,
capillarmente
in tutto l’universo,
sua stormente
ramificazione
in ogni specie
dell’aria, della terra,
degli acquitrini
dentro vene,
arterie, cannule,
tubicini –
suo spreco
sua dissipazione antica
nelle stragi palesi e clandestine,
nelle cacce, nelle ecatombi,
nelle mattanze, nelle carneficine,
nelle croci – una alzata ad espiarne
lo sperpero, lo scempio…
Dove corre il sangue, dove annega?
come l’acqua, come i fiumi
ritorna alla sorgente
il sangue, scende e sale
dalla morte alla resurrezione
O sanguis meus…

(Sangue – sua profusione, in Sotto specie umana)

Mario Luzi

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