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Palazzeschi eravamo tre. ‘Via’ di Ardengo Soffici

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Ardengo Soffici

Firenze, 26 febbraio 2013 – Solo una breve nota di commento articolata in due punti, o meglio in due domande, per questa riuscitissima poesia lacerbiano-futurista di Soffici.

1) Chiamando espressamente in causa Aldo Palazzeschi, il testo non impone al proprio statuto espressivo, più o meno deliberatamente, un duplice, incrociato modello di riferimento palazzeschiano? Alludo non soltanto, su base tematico-strutturale  – compresa l'autorizzata modalità dialogica! –,  alla bellissima poesia-collage Passeggiata di Palazzeschi presente nell'Incendiario 1913, ma anche alla celebre lirica-autoritratto Chi sono?, apparsa per la prima volta in Poemi nel 1909 e riproposta dal suo autore in quella stessa seconda edizione dell'Incendiario (uscita, per la precisione, nell'aprile del 1913). Pare davvero farlo con l'adottare speculari soluzioni rimiche d'apertura e di chiusura in -ia, che prevedono  in particolare via rimante rispettivamente con ironia e con malinconia. La poesia di Palazzeschi risulta infatti giocata su una forte dorsale rimica costituita dal replicato mia, da  follìa, il perfettamente concordante malinconìa e nostalgìa. Vedo, controllando, che nella sua nota al testo del «Meridiano» di Tutte le poesie di Palazzeschi Adele Dei autorizza quest'ultima ipotesi e ricorda, a conferma delle nostre ipotesi, che proprio puntando su Chi sono? Soffici parlava di Poemi in un suo articolo coevo.

2) Oltre ad ottimamente fotografare per via dialogico-narrativa l'oscillazione costitutiva tra «buffo» e «malinconico» che anche il Palazzeschi avanguardista compiutamente pervenuto al comico portava con sé, il testo non prelude già, nel suo finale su base per così dire dissociativa («E io sarei stato d'accordo...»), a quel «ritorno all'ordine» che nel dopoguerra investirà potentemente  su scala europea i vari contesti nazionali venuto dopo l'avventura primonovecentesca? «Ritorno all'ordine»o «rappel à l'ordre» che dir si voglia, di cui Ardengo Soffici com'è noto, con ben altra rilevanza rappresentativa di tipo ideologico rispetto a Palazzeschi, sarà di lì a poco figura centrale nelle vicende culturali, letterarie e artistiche, italiane.

Marco Marchi

Via

Palazzeschi eravamo tre
Noi due e l’amica ironia
A braccetto per quella via
Così nostra alle ventitré

Il nome chi lo ricorda
Dalle parti di San Gervasio
Silvio Pellico o Metastasio
C’era sull’angolo in blu

Mi ricordo però del resto
L’ombra d’oro sulle facciate
Qualche raggio nelle vetrate
Agiatezza e onorabilità

Tutto nuovo le lastre azzurre
Del marciapiede annaffiato
Le persiane verdi il selciato
I lampioni color caffè

Giardini disinfettati
Canarini ai secondi piani
Droghieri barbieri ortolani
Un signore che guardava in su

Un altro seduto al balcone
Calvo che leggeva il giornale
Tra i gerani del davanzale
Una bambinaia col bebé

Un fiacchere fermo a una porta
Col fiaccheraio assopito
Un can barbone fiorito
Di seta che ci annusò

Un sottotenente lucente
Bello sulla bicicletta
Monocolo e sigaretta,
Due preti una vecchia e un lacchè

Che bella vita dicesti
Ammogliati una decorazione
Qui tra queste brave persone
I modelli della città

Che bella vita fratello
E io sarei stato d’accordo
Ma un organetto un po’ sordo
Si mise a cantare Ohi Marì

E fummo quattro oramai
A braccetto per quella via
Peccato La malinconia
S’era invitata da sé

Ardengo Soffici 

(«Lacerba», 15 luglio 1913, poi in Intermezzo)

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