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L’ultimo giorno di Seferis

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Firenze, 17 marzo 2014

L'ultimo giorno

La giornata era fosca. Nessuno prendeva decisioni.
Soffiava un vento lieve: «Non è greco, è scirocco» disse qualcuno.
Qualche cipresso magro inchiodato al declivio e il mare grigio,
con lagune di luce, laggiù.
I soldati presentavano le armi quando venne una pioggia fina fina.
«Non è greco, è scirocco»: l'unica decisione che si udì.
Pure, lo sapevamo che l'indomani non avremmo avuto
più nulla, né la donna che beve al nostro fianco il sonno,
né la memoria d'essere stati uomini, una volta,
più nulla, l'indomani. «Questo vento dà l'idea di primavera» mi diceva l'amica
camminandomi a fianco e guardando lontano
«di quella primavera calò improvvisa
d'inverno presso il mare chiuso.
Tanto inattesa. Tanti anni passati. Come
morremo?» Girava una marcia funebre nella pioggia sottile.
Come muore un uomo? Strano, nessuno ci ha pensato.
E per chi ci ha pensato è stata come una reminescenza
di certe vecchie cronache
del tempo dei crociati o della naumachia di Salamina.
Pure la morte è una cosa che succede: come muore un uomo?

Pure la morte ognuno la guadagna, la sua morte che
non è di nessun altro:
questo gioco è la vita.
Declinava la luce sulla giornata fosca. Nessuno
prendeva decisioni.
E l'indomani non avremmo avuto più nulla: una totale
resa; neppure più le nostre mani;
le nostre donne schiave di stranieri alle fontane
e i nostri figli nelle latomie.
Camminandomi a fianco cantava l'amica una canzone mutilata:
«La primavera, e poi l'estate, schiavi...»
Venivano alla mente vecchi maestri che
ci lasciarono orfani.
Una coppia passò chiaccherando:
«La sera m'ha stufato, andiamo a casa,
andiamo a casa a accendere la luce».

Atene, febbraio 1939

(traduzione di Filippo Maria Pontani)

Ἡ τελευταία μέρα

Ἦταν ἡ μέρα συννεφιασμένη. Κανεὶς δὲν ἀποφάσιζε
φυσοῦσε ἕνας ἀγέρας ἀλαφρύς: «Δὲν εἶναι γρέγος εἶναι σιρόκος» εἶπε κάποιος.
Κάτι λιγνὰ κυπαρίσσια καρφωμένα στὴν πλαγιὰ κι ἡ θάλασσα
γκρίζα με λίμνες φωτεινές, πιὸ πέρα.
Οἱ στρατιῶτες παρουσίαζαν ὅπλα σὰν ἄρχισε νὰ ψιχαλίζει.
«Δὲν εἶναι γρέγος εἶναι σιρόκος» ἡ μόνη ἀπόφαση ποὺ ἀκούστηκε.
Κι ὅμως τὸ ξέραμε πὼς τὴν ἄλλη αὐγὴ δὲ θὰ μᾶς ἔμενε
τίποτε πιά, μήτε ἡ γυναίκα πίνοντας πλάι μας τὸν ὕπνο
μήτε ἡ ἀνάμνηση πὼς ἤμασταν κάποτες ἄντρες,
τίποτε πιὰ τὴν ἄλλη αὐγή.

«Αὐτὸς ὁ ἀγέρας φέρνει στὸ νοῦ τὴν ἄνοιξη» ἔλεγε ἡ φίλη
περπατώντας στὸ πλευρό μου κοιτάζοντας μακριὰ «τὴν ἄνοιξη
ποὺ  ἔπεσε  ξαφνικὰ τὸ   χειμώνα  κοντὰ  στὴν   κλειστὴ θάλασσα.
Τόσο  ἀπροσδόκητα. Πέρασαν τόσα χρόνια. Πῶς θὰ πεθάνουμε;»

Ἕνα νεκρώσιμο ἐμβατήριο τριγύριζε μὲς στὴν ψιλὴ βροχή.
Πῶς πεθαίνει ἕνας ἄντρας; Παράξενο κανένας δὲν τὸ συλλογίστηκε.
Κι ὅσοι τὸ σκέφτηκαν ἦταν σὰν ἀνάμνηση ἀπὸ παλιὰ χρονικὰ
τῆς ἐποχῆς τῶν Σταυροφόρων ἢ τῆς  ἐν - Σαλαμίνι - ναυμαχίας.

Κι ὅμως ὁ θάνατος εἶναι κάτι ποὺ γίνεται- πῶς πεθαίνει ἕνας ἄντρας;
Κι ὅμως κερδίζει κανεὶς τὸ θάνατό του, τὸ δικό του θάνατο, ποὺ δὲν ἀνήκει σὲ κανέναν ἄλλον
καὶ τοῦτο τὸ παιχνίδι εἶναι ἡ ζωή.
Χαμήλωνε τὸ φῶς πάνω ἀπὸ τὴ συννεφιασμένη μέρα, κανεὶς δὲν ἀποφάσιζε.
Τὴν ἄλλη αὐγὴ δὲ θὰ μᾶς ἔμενε τίποτε- ὅλα παραδομένα- μήτε τὰ χέρια μας-
κι οἱ γυναῖκες μας ξενοδουλεύοντας στὰ κεφαλόβρυσα καὶ τὰ παιδιά μας
στὰ λατομεῖα.
Ἡ φίλη μου τραγουδοῦσε περπατώντας στὸ πλευρό μου ἕνα τραγούδι σακατεμένο:
«Τὴν ἄνοιξη, τὸ καλοκαίρι, ραγιάδες...»
Θυμότανε κανεὶς γέροντες δασκάλους ποὺ μᾶς ἄφησαν ὀρφανούς.
Ἕνα ζευγάρι πέρασε κουβεντιάζοντας:
«Βαρέθηκα τὸ δειλινό, πᾶμε στὸ σπίτι μας
πᾶμε στὸ σπίτι μας ν᾿ ἀνάψουμε τὸ φῶς».

Ἀθήνα, Φεβ. ’39

Yorgos Seferis 

(da Poesie, a cura di Filippo Maria Pontani)

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