Notizie di poesia

La parola, il canto. ‘Inno alla morte’ di Ungaretti

Firenze, 9  luglio 2012 – Al di là dell’indubbia grandezza di un'opera, Ungaretti è stato un poeta centrale del Novecento italiano nella misura in cui ha saputo rappresentare possibilità della poesia moderna: possibilità effettive e tra loro diverse – contrastanti e perfino internamente al sistema Ungaretti antitetiche, se Ungaretti è stato il poeta di Allegria di Naufragi e quello del Sentimento del Tempo –, svolte in un contesto specifico, con le sue particolarità, i suoi sviluppi, i suoi vantaggi e i suoi ritardi rispetto ad altre tradizioni.

Ungaretti ha vissuto da protagonista un secolo, di quel secolo nutrendosi e facendo a quel secolo scuola. Vita d’un uomo, appunto: siamo con un titolo più di altri ritenuto valevole, riassuntivo di esiti e prima ancora di una disposizione, al nodo cruciale in cui le ragioni della biografia e quelle della produzione letteraria, la vita e la poesia, si affrontano, cercano i loro punti di contatto e insieme demarcano autonomie, siglano competenze.

In realtà paesaggi e scenari biografici presto in Ungaretti si confondono, si annullano e si trasfigurano. La trincea sarà tra poco, per lui proveniente da Alessandria d'Egitto desideroso di appartenenze e patrie ritrovate, un nuovo deserto. Nasce la poesia di Ungaretti, ed anche la partecipazione del poeta alla Grande Guerra reagisce di comporto, nel senso di un’incidenza molto personalizzata di eventi, da «vita d’un uomo».

Il poeta, l’«uomo di pena», le parole, l’armonia. Il «processo di raccoglimento che poté essere aiutato dalla vicenda umana della guerra» presupposto con evidente cautela da un critico acuto come Gianfranco Contini risulta già impostato, se Parigi – laddove una strumentazione storicamente e ibridamente si forma collegando a ritroso Apollinaire a Mallarmé e Mallarmé a Guérin – si è ridotta a «grigi inenarrabili» e anzi, ancora citando, a «sfumature all’infinito smorzate del colore».

Analogamene la nebbia di Milano, dove ad esempio Ungaretti frequenta la casa di un pittore d’avanguardia come Carrà, si è risolta in un «sentimento d’infinito», ed ogni ambiente esterno ha sedato in partenza rivolte riconducibili ad altri mezzi e ad altre impostazioni, profilando invece, preminenti, i confini dell’io per una cattura in parole della libertà, dell’invocata armonia, dell'innocenza.

La guerra rivela ad Ungaretti – «improvvisamente», come il poeta sottolinea – il linguaggio. E tuttavia il carattere traumatico, drammatico e liberatorio di una condizione ha maturato non da ora risorse e possibilità, ha avuto e avrà bisogno di cultura per ritrovarsi così stabilito ed espressivamente soddisfatto. Perfino il topos romantico-simbolista dell’étranger, aggiornabile e personalizzabile in quello dello «spatriato», si è definito tramite Guérin e Baudelaire, tramite Leopardi: i poeti.

Purificata, ricondotta al suo valore fondante e incorruttibile di monade interna, la parola essenziale cui Ungaretti perviene torna così ad essere il primo atomo di un discorso di rottura senza confronti, ma anche di una conquista ulteriore, imprevista e più ampia: una ricomposizione già agisce all’interno della raccolta, specificandosi in metri sotterranei, sia pure contrastati da una pronuncia rilevata ed isolante di vocaboli, sillabe e suoni.

Si annuncia la ricomposizione del «lungo dissidio» fra tradizione e invenzione, ordine e avventura. La parola ungarettiana si immerge nel verso, lo ricompone e lo ritrova, tenta un nuovo canto. E sarà l’endecasillabo che suggella Preghiera a gettare un ponte – complice il variantismo, in Ungaretti antistoricamente costitutivo e sistematico –  tra L’Allegria e Sentimento del Tempo: «Quando il mio peso mi sarà leggero / il naufragio concedimi Signore / di quel giovane giorno al primo grido».

Marco Marchi

Inno alla morte

Amore, mio giovine emblema,
Tornato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
E' l'ultima volta che miro
(Appiè del botro d'irruenti
Acque sontuoso, d'antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull'erba svagata si turba.

Amore, salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi

Abbandonata la mazza fedele,
Scivolerò nell'acqua buia
Senza rimpianto

Morte, arido fiume...

Immemore sorella, morte,
L'uguale mi farai del sogno
Baciandomi.

Avrò il tuo passo,
Andrò senza lasciare impronta.

Mi darai il cuore immobile
D'un iddio, sarò innocente,
Non avrò più pensieri né bontà.

Colla mente murata,
Cogli occhi caduti in oblio,
Farò da guida alla felicità. 

Giuseppe Ungaretti

(1925; da Sentimento del Tempo, 1933)
ARCHIVIO POST PRECEDENTI

'Io poeta notturno'. Campana e la Chimera     Giovani per davvero: Franca Mancinelli     Antologia del Novecento. 'Corona' di Paul Celan     Luzi. La poesia 'nell'opera del mondo'    Compleanno Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798). 'L'Infinito'     Maria Luisa Spaziani. Un 'Meridiano' per la Volpe     Poeti sulle rive. L'Arno, fiume che ispira     Lectura Dantis. Paolo e Francesca secondo Carmelo Bene     A grande richiesta. L' 'Ultima preghiera' di Giorgio Caproni     Capolavori senza tempo. 'Il sogno' di John Donne      'Antiche torri della mia città'. Tozzi poeta     Giovani per davvero: Marco Corsi     Premi. Strepitosa Valduga: a lei lo 'speciale' del 'Castelfiorentino'     La più bella poesia di D'Annunzio? L'ultima     I fiori lascivi di Aldo Palazzeschi     'Sull'orlo dei precipizi'. La breve vita di Dina Ferri, poetessa pastorella     Pascoli 'regressivo' e moderno     Anniversario per Giovanni Giudici     Gli uomini e gli dei. Versi di Primo Levi per nuove afflizioni e nuove vittime     Adonis tra Virgilio e Leopardi     Trinci. Chi salverà Pinocchio?     Panico D'Annunzio    Non solo poeta: Antonio Prete     Caproni, anima 'scura' e 'tersa'     Per ricordare Tonino Guerra     Sublime Valduga     Misconosciuto Betocchi

comments powered by Disqus